Il messia moderno (e finto) di Netflix accusato di propaganda anti islamica
La petizione contro la serie tv “Messiah” di Michael Petroni
Parigi. È bastato un trailer in cui si evoca l’islam fuori dai binari del correttismo per scatenare la canea degli indignati, che nella nuova serie Netflix “Messiah” vedono un film di “propaganda malefica e anti islamica”. Ecco la prima polemica del 2020, con tanto di petizione firmata da più di 4mila persone che invitano a boicottare la piattaforma americana, e l’incomprensione di uno degli attori principali, il francese di origini israeliane e yemenite Tomer Sisley, dinanzi a un appello alla censura pubblicato sulla base di un trailer apparso una settimana fa (la serie è stata messa online soltanto il 1° gennaio). “Gli autori della petizione si sbagliano. Se fosse stato un film di propaganda anti qualcosa, non avrei partecipato. Quelli che hanno firmato non hanno nemmeno visto la serie!””, ha dichiarato in un colloquio col Parisien. La storia di “Messiah”, diretta da Michael Petroni, è quella di un uomo dall’identità misteriosa (incarnato dall’attore belga Mehdi Dehbi), dotato di un grande potere di influenza, capace di compiere miracoli e di diffondere il suo messaggio rivoluzionario sfruttando i social. Sorta di Messia moderno, sostiene di essere stato mandato da un’entità superiore, predica nelle strade siriane, conduce migliaia di rifugiati palestinesi alla frontiera israeliana, cammina nelle acque di Washington e grazie alle sue doti conquista un gran seguito di fedeli in tutto il mondo. La sua figura suscita l’attenzione di Eva Geller, agente della Cia interpretata da Michelle Monaghan, che assieme a un funzionario dell’intelligence interna israeliana (Tomer Sisley), cercherà di scoprire chi è veramente questo misterioso personaggio: un leader religioso, un ciarlatano o, peggio ancora, un terrorista?
La storia, che affronta la questione della croyance all’epoca dei social network, è affascinante, la sceneggiatura dell’australiano Michael Petroni (tra i suoi lavori più noti, “La bambina che salvava i libri”, 2005) è una garanzia, ma quest’ultimo e i suoi collaboratori sono stati comunque presi di mira perché giudicati “insensibili” verso i musulmani, in quanto avrebbero chiamato il protagonista “Al-Massih ad-Dajjal”, una figura paragonabile all’Anticristo nella tradizione islamica (“Al-Massih”, in arabo, significa Messia, mentre “ad-Dajjal” significa “bugiardo”, “impostore”).
“La nuova serie di Netflix, intitolata ‘Messiah’, fa molto parlare di sé e i telespettatori noteranno immediatamente che si basa sui racconti islamici della venuta di Dajjal. Possiamo veramente permettere che i nostri soldi siano utilizzati nella produzione di un contenuto malefico come questo? Con la vostra partecipazione, seguitemi nel boicottaggio di Netflix”, si legge nel testo della petizione pubblicata su Change.org, che a Parigi sta avendo molto eco. La piattaforma americana ha reagito così alle lamentele del pubblico musulmano: “‘Messiah’ è un’opera di finzione. Non si ispira ad alcun personaggio, figura o religione. Tutte le serie Netflix hanno valutazioni e informazioni che aiutano gli abbonati a scegliere autonomamente ciò che è giusto per sé e per le proprie famiglie”. La risposta di Netflix non ha certo calmato le polemiche, anzi. Secondo quanto riportato dall’emittente televisiva israeliana i24news, in Giordania, nonostante buona parte delle riprese sia stata realizzata proprio dentro i suoi confini, la diffusione della serie potrebbe essere vietata. “‘Messiah’ su Netflix è una storia di finzione con personaggi di finzione”, ha scritto in un comunicato la Royal Film Commission of Jordan (Rfc). “Tuttavia”, viene specificato, “la Rfc ritiene che il contenuto della serie possa essere percepito o interpretato come una violazione della santità della religione, contravvenendo quindi alle leggi del paese”. In un’intervista al quotidiano online 20minutes.fr, Tomer Sisley si è espresso così a proposito della serie: “Lo spettatore è un attore della serie a tutti gli effetti. ‘Messiah’ parla della maniera in cui percepiamo gli eventi, che varia secondo la nostra educazione, il nostro vissuto, le nostre convinzioni e le nostre credenze. In un mondo moderno, nel quale i media e i social network hanno un impatto molto forte, e dove l’informazione può diventare virale in pochissimo tempo, cos’è che ci porta a credere in qualcosa? Siamo quel tipo di persone che crede in ciò che vede o vede ciò che crede?”. Per l’attore francese, che si augura di poter indossare i panni dell’agente israeliano anche per una seconda stagione, chi taccia la serie di “islamofobia” fa parte del secondo tipo di persone.