Bruxelles. L’ambizione di una Commissione “geopolitica” e il sogno di una politica estera europea, che consentano all’Europa di giocare da pari con Stati Uniti e Cina nello scacchiere globale, si stanno dimostrando una chimera nel momento in cui l’Ue inizia questo 2020 con due crisi vicinissime ai suoi confini, che covavano da tempo, ma rispetto alle quali si ritrova ancora una volta impreparata, divisa e irrilevante. “De-escalation”, “dialogo”, “riduzione della tensione”, “invertire la dinamica del conflitto” sono le espressioni più utilizzate dai nuovi leader dell’Ue e dai loro portavoce quando vengono interrogati sul pericolo di un conflitto tra Iran e Stati Uniti e sull’ingerenza militare di Turchia e Russia in Libia. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e l’Alto rappresentante, Josep Borrell, non hanno nemmeno citato l’Iran o gli Usa nella loro prima reazione venerdì all’uccisione del generale Qassem Suleimani, limitandosi a menzionare la situazione in Iraq. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha atteso fino a ieri pomeriggio per invocare “la fine del ciclo della violenza” e “spazio per la diplomazia”. Borrell ci ha messo quattro giorni per decidersi a convocare una riunione straordinaria dei ministri Ue per venerdì. Le ragioni di tanta prudenza sono varie. Sull’Iran “gli Stati membri sono divisi”, spiega al Foglio una fonte Ue: “Alcuni ritengono prioritaria la relazione transatlantica e non vogliono criticare in alcun modo gli Usa. Altri mostrano più comprensione per l’Iran o hanno interessi economici”.
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