Erdogan e Putin si siedono assieme a parlare della crisi libica e ogni loro parola conterà moltissimo. L’Italia insegue la strategia del dialogo, ma a Tripoli non ci rispondono più al telefono. Il peccato originale della nostra impostazione
Oggi il capitolo più importante della guerra civile in Libia è in Turchia, dove il presidente russo Vladimir Putin incontra il presidente Recep Tayyip Erdogan. Putin da mesi appoggia il generale libico Khalifa Haftar con centinaia di mercenari russi che – grazie all’addestramento e all’equipaggiamento superiori – sono un vantaggio decisivo nei combattimenti libici. Spesso questi scontri sono molto localizzati e avvengono tra poche decine di persone, l’effetto russo si sente. Dall’altra parte Erdogan ha mandato in Libia soldati, mezzi e un contingente di mercenari siriani per salvare Tripoli dall’assedio. Schierati sui due fronti contrapposti, i due leader hanno una caratteristica in comune: non seguono la strategia del dialogo. Il mondo non si perderà una parola della loro conversazione di mercoledì – in senso figurato: sarà a porte chiuse e senza conferenza stampa finale – proprio perché i due non cercano il dialogo come priorità. In questi mesi prima hanno preso una posizione chiara, poi hanno creato una situazione in cui sono diventati indispensabili, e adesso si presentano a un dialogo perché hanno qualcosa da dire.
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