Roma. Tucker Carlson, avamposto della falange repubblicana di Fox News, è stato il primo degli ultratrumpiani a denunciare l’uccisione di Qassem Suleimani, prova del tradimento della postura “America First” e della cedevolezza del presidente che aveva promesso di mettere fine alla “endless war”. Carlson ha addossato la colpa del sussulto interventista ai consiglieri che hanno spinto Trump ad agire, personaggi che “fino a venti minuti fa denunciavamo come ‘deep state’ e giuravamo di non ascoltare più”, ma nella sua omelia via cavo non ha risparmiato il commander in chief. Ann Coulter, vociante opinionista della destra americana, ha twittato sconsolata: “Pensavamo che Trump fosse diverso”, spiegando che tutti i presidenti repubblicani promettono di tirarci fuori dalle guerre in corso, “e poi finiscono per iniziarne di nuove”. Pat Buchanan, icona dei paleoconservatori che proclamava il verbo nazionalista quando Trump licenziava celebrità di rango minore nei reality show, ha scritto che “uccidere Suleimani era giusto, ma ciò che è giusto non è sempre saggio” e ha provocatoriamente suggerito di dare seguito alla mozione non vincolante approvata dal parlamento di Baghdad: “Invece di inviare soldati in Iraq e Kuwait per difendere le truppe che sono già lì, dovremmo cedere alle richieste dei nazionalismi locali, iniziando a riportare a casa i nostri soldati, lasciando che gli iraniani, gli iracheni, i libici, i siriani, gli yemeniti e gli afghani risolvano le loro controversie”. Lo storico Andrew Bacevich, presidente del realista Quincy Institute, ha scritto che con lo strike di Baghdad “Trump ha gettato la spugna. Le guerre che aveva promesso di terminare continueranno”.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE