Roma. Il “nuovo Vietnam” promesso dalla Guida suprema Khamenei contro l’America per vendicare la morte del generale Suleimani è durato circa mezz’ora attorno alle due di notte di ieri e si è concluso senza uccidere nemmeno uno dei cinquemila soldati americani di stanza in Iraq. Secondo fonti del governo iracheno e secondo fonti del Pentagono sentite dalla Cnn, l’attacco con missili balistici da parte dell’Iran è stato preceduto da un avvertimento passato sottobanco da contatti iraniani. Questo avviso discreto dato in anticipo, unito al fatto che i sistemi di difesa americani potevano seguire in tempo reale la traiettoria dei missili a partire dal momento del lancio in Iran a centinaia di chilometri di distanza e quindi avvisare le basi prese di mira, ha creato il miracolo dell’8 gennaio: l’Iran ha lanciato 24 missili balistici contro due basi militari in Iraq, diciassette contro la prima e cinque contro la seconda – più due che sono andati persi – e alla fine ci sono stati soltanto molti danni materiali. Le installazioni militari in Iraq sono passate attraverso molti anni di guerra e hanno posti protetti che possono resistere ai bombardamenti, se ci arrivi in tempo. Una delle due basi è l’aeroporto militare di Ayn al Asad, l’occhio del leone in arabo, nel deserto occidentale di al Anbar, che oltre agli americani ospita la settima divisione dell’esercito iracheno e anche il comando generale delle operazioni di sicurezza contro lo Stato islamico lungo il confine siriano. E’ la base visitata dal presidente Donald Trump a Natale nel 2018. La seconda è la base di Erbil, accanto all’aeroporto internazionale – che ha fatto da quartier generale della guerra allo Stato islamico nell’Iraq del nord.
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