"Vittoriosa rivolta a Teheran". Fu il titolo sulla prima pagina di Libération del 12 febbraio 1979, quando l’Ayatollah Khomeini prese il potere nella nuova Repubblica islamica dell’Iran per stabilire una delle peggiori dittature mai esistete: una teocrazia sciita basata sulla legge coranica, la sharia. Marc Kravetz, inviato speciale del quotidiano della gauche francese, ex leader del maggio ’68 diventato cronista, racconta la “prima grande serata” della rivoluzione: “Verso le 21 abbiamo sentito le prime grida. ‘Allahou Akhbar’. Non era più uno slogan, non era più un grido di protesta, ma una musica pura, proveniente dalle origini, bella come il canto dei lupi. ‘Allahou Akhbar’. Su tutti i tetti della città, da nord a sud, da est a ovest, le voci si rispondevano a vicenda. ‘Allahou Akhbar’”. Per l’occasione, anche Serge July, potentissimo direttore di Libération dal 1973 al 2006, si recò a Teheran, dove cadde in estasi davanti all’“energia liberatrice” del “grido di guerra santa” e del “socialismo sciita dei khomeinisti”. July incontra gli imam dell’entourage di Khomeini per convincersi che “il “partito di Allah’ sta ricostruendo una vita comunitaria”. Due giornalisti di Libération, Claire Brière e Pierre Blanchet, arrivati nella capitale iraniana in compagnia di Khomeini con il volo speciale Air France, furono esautorati perché troppo critici della nascente dittatura in turbante. Note sono le pagine entusiaste su Khomeini che scrisse un filosofo come Michel Foucault sul Corriere della Sera e altrove, dove elogiò “l’insurrezione di uomini a mani nude che vogliono sollevare l’enorme peso che pesa su ognuno di noi”, “la prima grande insurrezione contro i sistemi planetari”. Ci fu il viaggio di Jean-Paul Sartre a Teheran. “Non ho religione, ma se ne avessi sarebbe quella di Ali Shariati”, disse Sartre, riferendosi all’ideologo della rivoluzione iraniana, che aveva studiato alla Sorbona, che era stato discepolo del marxista Georges Gurvitch e che aveva tradotto in farsi “I dannati della terra” di Frantz Fanon. Molti di questi intellettuali francesi si pentiranno del proprio sostegno a Khomeini. Tranne uno.
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