Parlare di “modello Libano” in Libia è dannoso oltreché impossibile
Il paragone del ministro Di Maio che vuole usare una missione di pace in una guerra civile ma minimizza i rischi per l’Italia
E’ possibile paragonare la Libia con il Libano? Sembrerebbe. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio suggerisce di usare il “metodo Libano” in Libia: un’operazione di pace in Libia sul modello di quella applicata in Libano. Tuttavia usare il “metodo Libano” in Libia dispiegando “caschi blu europei” tanto semplice non è. Quando si suggeriscono politiche utilizzando analogie con successi in paesi, contesti e periodi storici diversi bisogna essere molti cauti. Il rischio è di trarre lezioni errate da successi passati. Dunque sono Libano e Libia casi paragonabili?
La missione Unifil in Libano è una delle tredici operazioni di pace attive dell’Onu che dispiega centomila caschi blu impegnati in giro per il mondo. In Libano Unifil impegna poco più di 10 mila militari e l’Italia contribuisce con circa mille soldati, seconda solo all’Indonesia. Unifil, per l’Italia, è la missione militare più grande all’estero. Il ministro sostiene che “il modello Libano è una di quelle missioni Onu di pace vere, dove i nostri militari si sono perfettamente integrati e dove la guida italiana ha fatto la differenza”.
Però la missione Unifil ha un vissuto lungo, tortuoso e molto particolare. Inizia nel 1978 per monitorare la ritirata delle forze israeliane dal Libano del sud, la missione relativamente piccola sopravvive alla guerra civile (1990) e al ritiro definitivo delle forze israeliane (2000). La situazione tesa nel luglio del 2006 porta a un conflitto di 34 giorni tra le forze israeliane ed Hezbollah. Dopo il cessate il fuoco il mandato della missione diventa più robusto: un dispiegamento di forze che è arrivato occasionalmente a oltre 18mila soldati e mai meno di 10mila in una zona di circa mille chilometri quadrati, estesa appena quanto la provincia di Pistoia. Per via della sua presenza duratura, nel 2006 la missione era ampiamente accettata dalla popolazione locale. Dal 2006, il Libano si trova in un contesto di relativa stabilità che ha permesso sia il progresso delle negoziazioni circa il confine con Israele da parte della commissione tripartita sia la distribuzione di aiuti umanitari e l’addestramento e progressivo inserimento delle forze armate libanesi nel contesto del Libano del sud. La situazione in Libano appare difficilmente trasferibile a un contesto libico di guerra civile, di zona di operazioni molto più estesa e soprattutto di un contesto più volatile e instabile dove la necessità di proteggere i civili richiede una presenza capillare sul territorio.
Quando Di Maio descrive la missione in Libano “come di una di quelle missioni Onu di pace vere” non coglie il fatto che la missione Onu in Libano sia molto particolare, in un contesto relativamente pacifico e con un mandato che non rispecchia le missioni Onu più recenti. In Libia dovrebbe esserci una missione più somigliante a quelle in Mali o in Repubblica Centrafricana, dove una delle componenti principali del mandato è proprio la protezione dei civili.
Quando Di Maio descrive Unifil “come una di quelle missioni Onu di pace vere” non coglie il fatto che sia in un contesto relativamente pacifico
e con un mandato che non rispecchia le missioni più recenti.
In Libia dovrebbe essere più somigliante a quelle in Mali
o in Repubblica centrafricana
Rispetto all’Onu, l’Unione europea ha organizzato missioni con funzioni importanti ma con mandati militari molto limitati e di dimensioni molto più piccole. Attualmente l’Ue dispiega 5 mila persone distribuite su sei missioni militari e dieci civili. Tuttavia non esistono missioni Ue simili a quelle che il ministro Di Maio suggerirebbe con l’analogia libanese. Vi sono operazioni navali sulle coste somale per operazioni anti pirati e nel mar Mediterraneo legate al controllo delle coste e ai movimenti dei migranti. Oppure in Iraq e nella Repubblica Centrafricana dove i mandati sono di supporto e consulenza alle forze militari e di sicurezza e d’addestramento degli eserciti. I mandati di protezione dei civili e “peace enforcement” non fanno parte delle esperienze dell’Ue e, con fatica, questi mandati in conflitti ancora attivi son portati avanti dall’Onu con missioni molto imponenti, come nella Repubblica Democratica del Congo (15 mila soldati).
Quando il ministro parla di “cellule terroristiche fuori controllo” non dovrebbe illudersi che possano essere neutralizzate da una missione di pace. Utilizzare missioni di pace perseguendo obiettivi di contro-terrorismo è tanto pericoloso quanto fallimentare, come alcune missioni Onu hanno ampiamente dimostrato. Si farebbe bene a mantenere questi obiettivi chiaramente separati. Le missioni Onu in Repubblica centrafricana o in Mali ne sono chiari esempi. I caschi blu devono fare ciò che sanno fare meglio: proteggere i civili, essere forze di interposizione, esercitare deterrenza e creare zone dove sia possibile fornire aiuti umanitari.
La situazione militare in Libia è instabile, i rischi militari per un’operazione di pace sono elevatissimi. Un cessate il fuoco dà ancora poche garanzie ai paesi che dovrebbero contribuire alla missione. Attori militari esterni dovrebbero lasciare il paese per garantire l’imparzialità dell’operazione. Al momento mancano le condizioni politiche per un “invito” a lanciare l’operazione di pace da parte degli attori locali e manca una risoluzione esplicita delle Nazioni unite su un intervento militare in Libia.
Se si sciogliessero questi due nodi fondamentali, accordo nazionale e internazionale, chi ci metterebbe i soldati? L’Unione europea ha veramente la volontà politica e l’esperienza per una missione che va ben oltre le sue esperienze militari? Tutte le operazioni dell’Ue messe insieme non fanno nemmeno la metà di Unifil. Sarà facile trovare 10 mila soldati come in Libano? E 10 mila militari saranno sufficienti? La risposta è no a entrambe le domande. Inoltre, perché la Turchia e la Russia dovrebbero lasciare la partita all’Ue? Russia e Turchia non sono tra i paesi più attivi nel contribuire con personale alle missioni Onu e non è chiaro se sono favorevoli ad una larga e robusta missione Onu in Libia.
Un battesimo del fuoco di una missione prettamente europea rischierebbe di arrestare (ulteriormente) lo sviluppo della politica di sicurezza e di difesa comune dell’Ue. Libia e Libano sembrano una facile allitterazione, ma sono di difficile comparazione.
Chiara Ruffa, Uppsala Universitet
Andrea Ruggeri, University of Oxford