(foto LaPresse)

Che cosa s'intende quando si dice “moderati”

Paola Peduzzi

La sinistra radicale redarguisce i Sanders e Warren: litigate con l'ala corporate dei democratici piuttosto. Due studi da leggere

Milano. Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, candidati democratici alla presidenza americana di area radicale, non vogliono più parlare della loro lite, non rispondono alle domande dei giornalisti, dicono “voliamo alto” e si concentrano sul primo appuntamento delle primarie in Iowa, il 3 febbraio, che segnala quanto sia frammentato l’elettorato democratico, tra sinistra radicale e candidati moderati. Ma poi ci sono i social e la possibilità di amplificare qualsiasi diatriba che i social concedono generosi, e così la lite continua: i sostenitori di Sanders – o dei bot, o dei repubblicani, o chissà chi – hanno inondato di serpenti (l’emoji) gli account legati alla Warren, al grido “la Warren è un serpente”, mentre #NeverWarren è diventato hashtag trend per parecchio tempo. I due candidati hanno realizzato presto che l’effetto finale è negativo per loro – anche se non sono stati accorti nemmeno quando si sono lasciati cogliere dai microfoni aperti mentre lei diceva a lui: mi hai dato della bugiarda sulla tv nazionale, e lui diceva a lei: no, sei stata tu a darmi del bugiardo – ma fermare queste tempeste è quasi impossibile: l’unica consolazione è che di solito durano poco, ci si distrae in fretta. Molte associazioni di sinistra, che pure all’inizio si erano indignate per Sanders o per Warren a seconda, stanno cercando di correre ai ripari e dicono: bisogna stare uniti, compatti e disciplinati, altrimenti i “democratici corporate” non li battiamo più. I Justice Democrats, che nascono da ex attivisti di Sanders nel 2016 e che hanno in curriculum la creazione di una figura politica come Alexandria Ocasio-Cortez, sono stati molto chiari: “Quando i progressisti si combattono tra di loro, l’establishment vince: lo abbiamo visto nel 2004, quando i progressisti si eliminarono a vicenda e prevalse John Kerry” nel Partito democratico.

 

Il patto d’alleanza, che raggruppa diciotto movimenti, si chiama “Progressives Unite 2020” e invita sul proprio sito a sostenere Sanders o Warren, non importa, basta che la lotta sia contro “l’ala corporate” dei democratici, che è rappresentata dall’ex vicepresidente Joe Biden, dal sindaco di South Bend Pete Buttigieg e dalla senatrice del Minnesota Amy Klobuchar. Dal campo di Biden in particolare s’affaccia in questi giorni di lotta a sinistra qualche sorriso in più del solito: l’ex vicepresidente è primo nei sondaggi a livello nazionale, nonostante sia trattato come il candidato più moribondo di tutti. Ma siamo sicuri di aver compreso bene l’anima di quest’ala corporate? A guardare gli studi che sono stati pubblicati in questi giorni dalla General Social Survey e da Gallup, si scopre che il perimetro della guerra interna alla sinistra americana (la stessa che c’è anche da noi e in Europa) in realtà è cambiato di molto negli ultimi anni: i cosiddetti candidati moderati oggi sono molto più a sinistra di quanto non fosse Barack Obama, per dire, su molte delle questioni più importanti, dalla sanità al rigore nei bilanci all’immigrazione, per non parlare del cambiamento climatico di cui allora parlavano davvero in pochi. Il baricentro della sinistra americana scivola a sinistra e questo significa almeno due cose. La prima è che la scelta per gli elettori del Partito democratico non è così polarizzata come i più radicali vogliono far credere: i centristi possono attirare gli elettori più a sinistra, è semmai l’ala radicale a essere impegnata in una lotta contro l’establishment che è di potere e non di idee. La seconda (è banale, ma il fatto che sia banale non la rende meno importante) è che questa frattura ideologica tanto esasperata avvantaggia ancora di più Donald Trump che ha già deciso: chiunque sia lo sfidante poco importa, tanto sarà comunque un socialista.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi