Al via il Forum economico mondiale di Davos (foto LaPresse)

La star a Davos è Greta con gli altri “eroi” ambientalisti

Paola Peduzzi

I rischi climatici, i jet privati da nascondere e il nuovo capitalismo del World Forum alla mezz’età. La sintesi tra trasformazione e senso di colpa

Milano. La battaglia sulle quote rosa non è vinta, dicono gli organizzatori di Davos pubblicando i dati sulla partecipazione al World Economic Forum – 24 per cento è la percentuale di presenza femminile su 2.800 ospiti – ma qualcosa da festeggiare c’è, ed è giovane ed è verde ed è ragazza: la Davos girl, Greta Thunberg.

 

Il World Economic Forum vive il suo cinquantesimo anno di vita – e le battute sulla crisi di mezz’età si sprecano – votandosi alla causa ambientalista, “go green or go home”, come ripetono molti commentatori raccontando come la responsabilizzazione ambientalista delle aziende e delle leadership politiche si coniughi con un gran senso di colpa. Greta è la star più attesa, l’odiatissimo Davos man è in attesa di questa nuova Davos girl che ha già fatto sapere di non volersi accontentare né dell’accoglienza calorosa né delle rassicurazioni che ha raccolto lungo tutto l’anno passato: del vostro senso di colpa non me ne faccio niente, ha detto Greta alla vigilia del Forum, né delle vostre promesse, il cambiamento o è concreto o non è, non ci faremo prendere in giro. L’accoglienza parte già dall’aeroporto, dove gli attivisti per il clima hanno organizzato una marcia vestiti da koala o da fiori, e alzano cartelli con scritto “ignorate i Donald, ascoltate le Greta” (il riferimento è al presidente americano Trump che parla oggi) e sulla neve compare lo slogan “No Planet B”, questo è l’unico pianeta che abbiamo, prendiamocene cura. Ma non c’è soltanto la protesta. Il World Economic Forum ha pubblicato alcuni studi, come è sua consuetudine, e ce ne sono due in particolare dedicati all’ambiente. Uno esamina 163 settori industriali e mostra che la produzione di valore economico dipende dalla natura e dai servizi legati alla natura per un totale di 44 mila miliardi di dollari, soprattutto per quel che riguarda le costruzioni, l’agricoltura e il cibo. Il rischio di sfasciare ogni cosa è ben sintetizzato dal grande classico del Forum, il Global Risk Report, che indica ai primi cinque posti dei rischi globali varie declinazioni della crisi ambientale: climi estremi, perdita di biodiversità, fallimento delle azioni climatiche proposte, disastri naturali e quelli fatti dall’uomo. Non ci sono più terrorismo, migrazioni, diseguaglianze e choc economici tra i principali rischi globali: c’è la fine del mondo. E tra gli “eroi” di Davos, oltre alla beniamina Greta, ci sono altri giovani, come il diciottenne irlandese Fionn Ferreira, che ha creato un progetto per estrarre la microplastiche dall’acqua, e Melati Wijsen, diciassettenne di Bali che con la sorellina Isabel ha svuotato Bali dalla plastica.

 

Davos si è colorata di verde perché vuole offrire una nuova formula di capitalismo responsabile e responsabilizzato a partire dalle piccole cose, come le scarpe per la neve che vengono fornite ai partecipanti poco attrezzati per evitare che si spostino in automobile (si sa che muoversi a Davos è un inferno), fino a quelle grandi, che parlano di rivoluzioni ambientaliste imprescindibili, linee rosse che non possono essere più valicate. Come si paga questa trasformazione? Questa è la scommessa, e qui si ritrova anche il senso di colpa dell’uomo di Davos che non soltanto gioisce nel farsi rappresentare oggi dalla Davos girl ma prova a inventarsi anche frugale, spartano, il lusso, che orrore – è per questo che ci toccano molti selfie di partecipanti di Davos che si mostrano in camere strette con i letti a castello, visibilmente a disagio, ma felici di ostentare la propria normalità. Al suo cinquantesimo compleanno, Davos vuole nascondere la sua natura elitaria e i suoi jet privati (che atterranno sempre più lontani per restare invisibili), rivede il suo approccio alla ricchezza e al capitalismo (riprende in realtà una formula che il fondatore e presidente di Davos, il tedesco Klaus Schwab, aveva già proposto negli anni Settanta) per dedicarsi alla diseguaglianza e ai negletti. Ma la trasformazione non è ancora completa. Il senso di colpa è ovunque, ma se un fondatore di Occupy Wall Street decide di partecipare a Davos (Micah White lo ha fatto) non ha scampo: è comunque un traditore.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi