C'è energumeno e energumeno
Putin, Trump, Johnson, la Cina. Le superleadership in costruzione sconsigliano giochetti retorici e affabulazioni verdastre. E il Davide biblico capace di salvare il mondo da Golia non assomiglia né a Greta né ai bulletti al citofono. Reagire presto
Commentatori garruli fanno di Greta Thunberg a Davos, nella loro immaginazione fumettistica, un Davide biblico capace di salvare il mondo da Golia. Un’icona a colori priva di senso, meno potente di una vignetta. La realtà, per quanto amara in certi casi, invece la si conosce. Nel mondo non agiscono soltanto “capi politici” alla frutta, come l’ormai anche simpatico Di Maio, o detestabili bulli che citofonano scortati agli inquilini tunisini di un condominio bolognese come se stessero provocando la temibile reazione di un Riina. C’è energumeno e energumeno. Trump dovrebbe fronteggiare un serio tribunale del Senato americano per aver venduto l’onore del paese e della Casa Bianca in una tentata estorsione ai danni dell’Ucraina allo scopo di farsi bello in campagna elettorale sputtanando un rivale. Invece – ecco il punto – gli riesce di andare a Davos, dopo aver chiuso violento la bocca ai testimoni, per cancellare il senso del processo in cui è accusato di un delitto politico e costituzionale gravissimo; e dall’alto e robusto spalto del suo narcisismo arancione, usando un linguaggio del corpo e della voce trionfalistico, annuncia lo stato di grazia dell’America, a tasse troncate e perfettamente deregolamentata, come una conquista sua personale a nome dei forgotten man, aggiungendo una convincente piazzata contro gli apocalittici profeti di sventura. E trova di fronte a sé una platea di imprenditori e finanzieri che giocano a fare i compagni, il socialismo neofita dei capitalisti del solito Monopoli, e la piccola Greta che predice il rogo della terra e la morte imminente a nome di figli e nipoti di una generazione più in là.
La fionda di Davide aveva una mira più precisa, e Davide fu Re in virtù, cioè in forza, della sua performance miracolosa. Qui al posto della sua fionda c’è un’immaginetta, e al posto del Re in potenza una potenziale disfatta di un personaggio da cartoon. Se allarghiamo il campo visivo, vediamo superleadership in costruzione nel mondo che sconsigliano giochetti retorici e affabulazioni verdastre. Putin sta sbaraccando il sistema per garantirsi, dopo ventiquattro anni di regno incontrastato, un’altra bella spanna di tempo in un ultimo miglio della sua corsa che si fa penultimo. La sicurezza di tratto del nuovo zarismo corazzato di consenso elettorale e di trucchi istituzionali fa impressione. Il capo politico cinese, già rinsaldato da una virtuale elezione a vita, continua imperterrito nelle sue grandi manovre egemoniche e negoziali alla caccia di un primato mondiale che gli Stati Uniti faticano a arginare. Boris Johnson si avvia a plasmare il modello indipendentista della Brexit con una certa verve churchilliana e notevole sfacciataggine, e la voce grossa della von der Leyen, che a nome dell’Europa parla a Davos di dazi verdi, di cloud continentali a protezione dei nostri dati e di un mercato unico che non è a disposizione di una Londra modello Singapore impegnata nel dumping fiscale è una bella novità, ma ancora tutta da testare.
Comunque, che si tratti del riformismo europeo, dell’imperialismo cosmopolita britannico, del protezionismo e del modello americano, del grosso carapace a difesa dell’eccezionalità russa o della muraglia cinese valicata dai suoi costruttori in senso contrario a millenni di isolamento, è sicuro che le leadership di oggi non suonano al citofono, non alternano Nutella, baci al salame e scioperi della fame, e danno un’idea piuttosto spessa dei nuovi e eterni doveri della politica e delle sue regole. In questo quadro il potere allarmistico e benevolente di Greta Thunberg non sembra torreggiare.