Milano. “Siamo sotto un regime autoritario!”, ha ridetto ieri in tv Ségolène Royal, ex candidata socialista alle elezioni francesi del 2007 con velleità presidenziali per il 2022, e il regime è quello di Emmanuel Macron, che non ascolta, che non comprende, che non cura, che “ha fatto una scelta ideologica chiara, quella del liberalismo: pensa che il privato sia meglio del pubblico, è un uomo di destra, ma soprattutto è un ultraliberale convinto che il modello anglosassone sia il migliore di tutti”. La Royal ha rimesso al bello il movimento che aveva creato nel 2007 (quando combatté un’aspra lotta per emergere all’interno del Partito socialista e fu poi battuta dal gollista Nicolas Sarkozy), gli ha dato un nome nuovo, “Désirs de France, Avenir pour la planète”, e si è gettata nella campagna elettorale per le elezioni municipali a marzo come madrina di “una terza via” tra Macron e Marine Le Pen, leader del Rassemblement national (Rn). La terza via che è tornata sulla bocca di tutti – anche in Italia, da parte di alcuni esponenti del M5S – non ha nulla a che vedere con la dottrina della sinistra terzista d’ispirazione blairiana: è semmai una forza d’interposizione tra due visioni del mondo, una nazionalista e una liberale. La Royal ha disegnato i perimetri dello scontro collocando la Le Pen e Macron entrambi a destra, ponendosi come alternativa e intravvedendo in questa strategia un modo per riportare la sinistra francese ad avere una rilevanza nel dibattito pubblico.
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