La riforma del Patto di stabilità è solo una consultazione. Ma Gentiloni ha un piano
Il commissario lancia nove domande cui dovranno rispondere il Parlamento europeo, la Bce, gli stati membri, i partner sociali e gli economisti. L'idea è di trasformarli in “policy”, meglio se senza fare troppo rumore
Bruxelles. Sulla modifica del Patto di stabilità e crescita, la montagna della Commissione di Ursula von der Leyen in apparenza ha partorito un topolino. Dopo le aspettative create la scorsa estate dagli appelli del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dalla nomina di un italiano a commissario all’Economia e dall’ipotesi di scorporare dal deficit gli investimenti “green”, Paolo Gentiloni ieri è salito sul palco della sala stampa della Commissione con il vicepresidente Valdis Dombrovskis per annunciare una “consultazione pubblica” sulla revisione delle regole fiscali dell’Unione europea. Una ricostruzione storica di come è evoluto il Patto prima e dopo la grande crisi. La constatazione che le regole attuali hanno funzionato in parte contribuendo a ridurre il debito in alcuni paesi, ma anche che sono diventate sempre più complesse e difficili da applicare. La sottolineatura che i governi hanno perseguito politiche pro cicliche e hanno preferito la spesa corrente agli investimenti pubblici. Almeno per il momento, nessuna proposta concreta dalla Commissione: solo nove domande cui dovranno rispondere il Parlamento europeo, la Bce, gli stati membri, i partner sociali e gli economisti. La consultazione pubblica durerà fino all’estate. L’obiettivo è creare un “consenso” che permetta di ricostruire la fiducia tra gli stati membri, messa male a causa dei comportamenti opportunistici di alcuni governi (l’Italia è sempre guardata con sospetto) e dall’interpretazione troppo politica che aveva dato la Commissione Juncker al Patto. Poi, entro la fine dell’anno, la Commissione von der Leyen trarrà le sue conclusioni.
Il consenso sulla riforma del Patto di stabilità in realtà è impossibile da raggiungere. L’Olanda ieri ha subito lanciato il suo altolà a possibili modifiche sostanziali: l’obiettivo deve restare “finanze pubbliche sostenibili”. Secondo il governo dell’Aia, servono “regole più semplici” e “meno flessibilità”. Dombrovskis, al fianco di Gentiloni, si è mostrato nettamente più prudente preferendo parlare di “razionalizzazione” delle regole e sottolineando di non voler “saltare a conclusioni”. In questo contesto è altamente improbabile che la Commissione decida di proporre di modificare i regolamenti alla base del Patto. Ma la strategia di Gentiloni per dare una mano all’Italia sui suoi conti pubblici e rendere più leggeri gli obiettivi di bilancio della zona euro è molto più sottile. “C’è ampio margine anche senza modifiche legislative per semplificare le regole e incentivare gli investimenti pubblici”, spiega al Foglio un alto funzionario dell’Ue. Come aveva fatto l’esecutivo Juncker nel gennaio del 2015, la Commissione von der Leyen può limitarsi ad annunciare che applicherà le regole in modo meno rigido. Il Patto di stabilità non si compone solo del trattato e dei regolamenti sul Six Pack e Two Pack che sono stati introdotti all’apice della crisi. Le regole vengono costantemente aggiornate attraverso un “vademecum” della Commissione, che contiene le metodologie concordate con i governi e le procedure interne per metterle in pratica. Il “lodo Gentiloni” sul Patto di stabilità potrebbe passare da lì: una comunicazione della Commissione in cui specifica su cosa si concentrerà e come metterà in pratica la sorveglianza di bilancio.
Da questo punto di vista le nove domande della consultazione pubblica contengono già un abbozzo di risposta. Per semplificare le regole, il deficit strutturale dovrebbe lasciare il posto a un criterio meno controverso di riduzione della spesa nominale. Per disfarsi dell’ossessione dello zero virgola, la Commissione potrebbe focalizzarsi sugli “errori rilevanti” di finanza pubblica (cioè sul debito insostenibile). Per tornare ad applicare le regole in modo più rigoroso, il documento suggerisce di dare meno peso alle sanzioni finanziarie (politicamente controverse) e puntare su incentivi e costi reputazionali. Per favorire gli “immensi investimenti” del Green Deal e della trasformazione digitale (così li ha definiti Gentiloni), le clausole di flessibilità introdotte dalla Commissione Juncker potrebbero essere ampliate in termini di “portata” ed “eleggibilità”. Questi suggerimenti per ora hanno la forma dei nove punti di domanda della consultazione pubblica. Gentiloni intende trasformarli in “policy”, meglio se senza fare troppo rumore. Ma l’Italia deve anche gestire le sue aspettative. Con un debito al 135 per cento del pil, non otterrà tutta la flessibilità che vuole, perché il vero guardiano del Patto non è la Commissione. E’ il mercato.