AKK lascia e non sarà l'erede della Merkel
I “piromani” della Turingia, le faide nella Cdu e quel gusto verde che va di traverso a molti
Milano. Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) non sarà l’erede di Angela Merkel. “AKK k.o.”, ha sintetizzato la Bild, il tabloid più letto della Germania: l’attuale ministro della Difesa tedesco ha rinunciato alla successione, ha detto che vuole dimettersi da leader della Cdu e che non si candiderà come cancelliere alle prossime elezioni (previste per il 2021). Vuol dire che la successione alla cancelliera ricomincia da capo: il tentativo della Merkel di preparare una transizione ordinata dopo il suo regno è fallito e la Cdu è e resta molto divisa.
A determinare la rinuncia della AKK è stata la crisi in Turingia: la settimana scorsa, i parlamentari locali della Cdu si sono ritrovati a votare il nuovo governatore, il liberale Thomas Kemmerich, assieme all’AfD, il partito di estrema destra. Dalla ricostruzione dei fatti, sembra che la Cdu non fosse al corrente del dialogo intercorso tra Kemmerich e l’AfD (che in Turingia è guidata dal più radicale dei suoi esponenti, Björn Höcke), ma si tratta comunque di un incidente che non doveva succedere in un paese in cui la leadership liberale della Merkel ha sempre escluso ogni genere di collaborazione o dialogo con l’estremismo.
“Imperdonabile”, aveva detto la cancelliera, e così è stato: la AKK non è stata perdonata, e si è dimessa. Sapremo forse in futuro se la Merkel conferma così la sua fama di angelo sterminatore, lei che ha lasciato molti sfidanti e molti aspiranti delfini sulla sua strada – la sua carriera politica iniziò con il tradimento massimo a Helmut Kohl – o se invece è stata costretta dalle circostanze a ribaltare un processo di successione a cui tiene tantissimo. Di certo la AKK era da tempo molto debole, al di sotto delle aspettative: c’è chi dice che la nomina, voluta dalla Merkel, al ministero della Difesa, fosse un modo per mettere alla prova la AKK, in un territorio decisamente impervio. Era già delusa, insomma, la Merkel. Comunque sia, in questo nuovo ruolo la AKK non è riuscita a brillare, ma il suo problema principale non sta certo alla Difesa: lei si è trovata a dover gestire l’eredità della Merkel dentro a un partito insofferente nei confronti di quell’eredità e allo stesso tempo ha cercato di crearsi una autonomia, per levarsi di dosso l’etichetta di “mini Merkel” che non le piaceva per niente. Non ce l’ha fatta. All’ultimo congresso a Lipsia a dicembre, la AKK era stata riconfermata ma nel suo discorso molto sincero (e durissimo contro le alleanze con i “piromani” dell’estrema destra) aveva detto: se non vi fidate di me, sono disposta a lasciare il mio posto. La sfiducia è infine arrivata perché la Cdu non ha domato i piromani, ma ora saranno le faide interne a dirigere lo spettacolo.
La successione è di nuovo aperta, si parla di una resa dei conti a giugno. Il più agguerrito è Friedrich Merz, che ha il carisma che difetta alla AKK, ha il sostegno dell’insofferente ala conservatrice della Cdu e soprattutto il carburante della vendetta: fu scalzato dalla Merkel all’inizio degli anni Duemila, e non c’è più stata una riconciliazione. Sempre in quest’area, c’è il ministro della Sanità, Jens Spahn, che è molto critico con l’apertura ai rifugiati della Merkel ma è uno che predilige le trame dietro le quinte piuttosto che le ostilità sfrontate. Poi c’è il governatore della Baviera, Markus Söder, che vuole esercitare un presunto diritto: tocca alla Csu, sorella della Cdu nell’Unione, il turno di leadership. Ma ci sono anche i fedeli della Merkel: tra questi spicca il governatore dello Schleswig-Holstein, Daniel Günther, non soltanto per meriti suoi ma perché guida una coalizione con i Verdi e con i liberali dell’Fdp (l’alleanza Giamaica). Nel ridisegnare il perimetro della politica tedesca, con la grande coalizione in sofferenza e l’Spd in calo, il dialogo tra la Cdu e i Verdi è considerato un contrappeso inevitabile per arginare gli estremisti. Un altro tassello dell’eredità della Merkel che i conservatori non vogliono digerire.