Un inedito a Dublino
Governare con Sinn Féin non è più un tabù in Irlanda. Le condizioni per l’alleanza, i timori del nord e di Londra
Londra. L’establishment politico irlandese non può più continuare a ignorare Sinn Féin, il partito nazionalista che ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni di sabato scorso. Il movimento guidato da Mary Lou McDonald ha conquistato il 24 per cento dei consensi e infranto il bipolarismo secolare tra Fianna Fáil (22) e Fine Gael (20), le due grandi famiglie politiche irlandesi che hanno governato insieme per gli ultimi quattro anni. I partiti tradizionali avevano costruito un cordone sanitario attorno a Sinn Féin, escludendo a priori ogni forma di dialogo. Ma i risultati delle urne hanno reso questa strategia insostenibile, costringendo la classe politica irlandese a confrontarsi con il nuovo soggetto. Micheál Martin, leader del partito centrista Fianna Fáil che in campagna elettorale aveva giustificato il veto a un accordo con Sinn Féin come “una questione morale”, ha fatto marcia indietro dopo l’annuncio dei risultati. “Sono un democratico e ascolto il verdetto del popolo”, ha detto Martin a proposito di una coalizione con il partito unionista: “I miei princìpi non cambiano e resto convinto che ci sia una distanza notevole tra noi e Sinn Féin. Ma nei prossimi giorni dovrò confrontarmi con tutte le forze politiche”.
I media irlandesi sono convinti che l’alleanza tra Sinn Féin e Fianna Fáil sia lo scenario più probabile. Le stesse testate che fino a pochi giorni fa accusavano il partito nazionalista di essere una minaccia per la democrazia oggi sostengono una sua partecipazione al governo. “Sinn Féin proporrà molte condizioni per formare una coalizione con Fianna Fáil: chiederà una staffetta tra premier, un cambio di linea sui temi più importanti e una netta apertura verso il referendum sull’unificazione tra le due Irlande”, spiega Brendan O’Leary, politologo irlandese della University of Pennsylvania: “I nazionalisti possono minacciare di tornare alle urne, mentre Martin farà di tutto per evitare ciò”. I partiti tradizionali temono che l’esclusione di Sinn Féin dal governo possa alimentare il suo consenso. Quindi tanto vale coinvolgere gli unionisti nelle istituzioni sperando che la trasformazione in un partito di governo possa fargli perdere voti. Martin ha riconosciuto questa realtà mentre il premier uscente Varadkar, leader di Fine Gael, resta contrario a un’alleanza che non verrebbe accettata dai suoi elettori.
La diffidenza verso Sinn Féin nasce dalla sua storica vicinanza con l’Ira, il gruppo terrorista che fino agli Novanta si è battuto per l’unione tra le due Irlande. Gli opinionisti irlandesi hanno accusato l’attuale leader Mary Lou McDonald di avere un atteggiamento ambiguo verso i crimini del passato, suggerendo che la vecchia guardia militante continui a dettare la linea dietro le quinte. In realtà McDonald, 50 anni, ha messo in secondo piano il tema delle riunificazione e ha intercettato la voglia di cambiamento dei giovani irlandesi, molti dei quali non ricordano le tensioni tra cattolici e protestanti. Gli unionisti sono stati gli unici ad avere affrontato gli argomenti più popolari tra i cittadini: la sanità, che interessa il 32 per cento degli elettori, e la crisi abitativa, il 28 per cento. Sinn Féin è diventato un partito socialista moderno e radicale, che non rappresenta più solamente le istanze dei nazionalisti. Tuttavia, McDonald ha promesso di convocare un referendum sulla riunificazione entro i prossimi cinque anni. L’ipotesi spaventa i partiti tradizionali che temono di rievocare le tensioni tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del nord. La docente Marisa McGlinchey, grande esperta di politica nordirlandese, racconta che gli unionisti britannici di Belfast sono rimasti delusi dal successo di Sinn Féin. “Erano già arrabbiati per l’accordo di Boris Johnson sulla Brexit, che hanno denunciato come un tradimento – spiega la professoressa al Foglio – La vittoria dei nazionalisti irlandesi a Dublino aumenta ulteriormente il loro timore di una riunificazione”. Tuttavia, l’iter legislativo per ottenere un referendum richiede molto tempo. Il governo di Londra può consentire un voto sull’indipendenza solo dopo aver verificato che la maggioranza degli irlandesi del nord è a favore della riunificazione. “Al momento questa condizione non è presente – spiega McGlinchey – Quindi credo che non ci sarà alcun referendum entro i prossimi cinque anni”.
Ma il successo di Sinn Féin viene percepito con grande preoccupazione a Londra. Le priorità del governo irlandese sulla Brexit rimarranno le stesse ma l’entrata in scena di Sinn Féin aggiunge una nuova incognita. Il partito nazionalista aveva criticato l’accordo di recesso tra Johnson e Varadkar, e avrà un atteggiamento ancora più intransigente nei negoziati che avranno inizio a marzo. Sinn Féin cercherà di mantenere l’Irlanda del nord allineata alle regole europee per ottenere una separazione di fatto dal resto del Regno Unito. Dopo il successo degli indipendentisti scozzesi si apre un nuovo fronte per il governo di Londra.
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