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Sul budget europeo sarà guerra per una manciata di euro (Francia e Italia incrociano le dita)

David Carretta

“Il negoziato sul bilancio è il peggiore di tutti e quello di oggi è il peggiore negoziato sul bilancio di sempre” perché con la Brexit “tutti pagheranno di più e tutti riceveranno meno”

Bruxelles. Per una manciata di euro, l’Unione europea si sta preparando a vivere una delle sue tradizionali crisi esistenziali, fatte di Vertici infiniti, maratone notturne e minacce di veto, che si concluderà solo quando tutti potranno dire di aver vinto, o almeno di non aver perso. Come ogni sette anni, i capi di stato e di governo si ritroveranno il 20 febbraio per negoziare il quadro finanziario pluriennale: il bilancio 2021-2027 da oltre mille miliardi di euro, con cui finanziare le “vecchie politiche” come agricoltura e coesione e le “nuove politiche” come Green Deal e digitale. Ma questa volta è diversa dalle precedenti: con l’uscita del Regno Unito, l’Ue perde il suo secondo contributore netto e gli altri stati membri devono riempire un buco da 75 miliardi in sette anni. I grandi contributori – Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Austria, Finlandia – dovranno aumentare considerevolmente i versamenti a Bruxelles. I grandi beneficiari – Spagna, Portogallo e paesi dell’est – vedranno ridursi le allocazioni per la Politica agricola comune e i fondi strutturali della coesione. Italia e Francia incrociano le dita, perché sono i due che ne escono meglio.

  

Due anni fa la Commissione aveva proposto un bilancio pari all’1,11 per cento del pil europeo. Troppo per il gruppo dei paesi che si sono ribattezzati “frugali” (Olanda, Danimarca, Svezia e Austria), che non intendono superare l’1 per cento. Troppo poco per il gruppo degli “amici della coesione” (i paesi dell’Europa del sud e dell’est) che non vogliono subire tagli. Lo scorso dicembre è fallito un primo tentativo di compromesso all’1,07 per cento del pil. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha convocato la prossima settimana un Vertice straordinario che potrebbe durare tre giorni e due notti. Oggi o domani Michel proporrà un altro compromesso che dovrebbe oscillare tra l’1,07 e l’1,09 del pil. Poi tutti si metteranno a gridare “I want my money back!”, come fece con successo Margaret Thatcher per ottenere il suo “rebate”, lo sconto al bilancio europeo.

  

“Il negoziato sul bilancio è il peggiore di tutti e quello di oggi è il peggiore negoziato sul bilancio di sempre” perché con la Brexit “tutti pagheranno di più e tutti riceveranno meno”, spiega al Foglio una fonte europea. Eppure la posta in gioco è alta. I leader europei hanno promesso grandi cose sulle “nuove politiche”: il Green Deal, il digitale, la difesa, l’immigrazione, la sicurezza alle frontiere, l’innovazione e la ricerca. Un bilancio con un tetto all’1 per cento del pil non basterebbe a finanziare le “nuove politiche”, a meno di non tagliare ancora di più su agricoltura e coesione. Il Parlamento europeo pretende un bilancio pari all’1,3 per cento del pil. Se i leader “rifiuteranno di muoversi e accettare la posizione del Parlamento, andremo fino in fondo e rigetteremo il nuovo bilancio”, ha avvertito il suo presidente David Sassoli. Ma anche la Germania e i paesi “frugali” hanno le loro ragioni. Il conto annuale di Berlino passerà da 16 a 26 miliardi di euro. I Paesi Bassi e l’Austria vedranno il loro contributo raddoppiare (a 8 miliardi per l’Aia e a 2 per Vienna). La premier danese, Mette Frederiksen, ha promesso ai suoi elettori che non pagheranno un centesimo in più di quanto pagano oggi. “Il tempo stringe”, ha detto ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen: “Se il bilancio non sarà approvato, l’anno prossimo non saremo in grado di avviare il lavoro sulle nuove priorità”. Senza un accordo prima di giugno, il Green Deal, il fondo per la difesa, i nuovi programmi di ricerca o i progetti infrastrutturali non riceveranno soldi. “Potremmo solo sborsare alcuni fondi agricoli e saldare i conti dei progetti degli ultimi anni”, dice un’altra fonte Ue.

  

La regola dell'unanimità dà a ogni stato membro il diritto di veto, In questo contesto, nessuno è pronto a scommettere in un accordo già il 20 febbraio. I leader dei quattro paesi “frugali” devono tornare nelle loro capitali potendo dire di aver vinto, o almeno di aver fatto saltare un accordo inaccettabile al Vertice. Gli ambasciatori si preparano già a un secondo o a un terzo Vertice sul bilancio tra marzo e aprile. Ma, paradossalmente, il dramma sul quadro finanziario pluriennale si gioca davvero su una manciata di euro. “Lo scarto tra la proposta della Commissione e il compromesso di dicembre è dello 0,04 per cento del pil europeo”, dice un funzionario coinvolto nei negoziati. Tradotto: l’Ue sta impazzendo per una cinquantina di miliardi spalmati su sette anni e su 27 paesi. “In un contesto nazionale questa cifra non darebbe luogo a giorni e giorni di negoziati”. Ma nell’Ue diventa un “problema politico folle”.

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