L'Assemblea rimandata è la prima rivoluzione politica del coronavirus
Xi Jinping sapeva tutto già dall’inizio di gennaio. Un modo per incolpare i funzionari e consolidare il potere
Roma. Lunedì la Xinhua, l’agenzia di stato cinese, ha fatto sapere che alla fine del mese il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, il massimo organo legislativo cinese, “si riunirà per deliberare il rinvio della sessione annuale della legislatura”. Un modo per dire che quasi sicuramente il momento più importante dell’attività politica cinese – quello in cui vengono prese le decisioni collettive e anche svelate le nuove strategie per il futuro – che avrebbe dovuto iniziare il 5 marzo e durare per un paio di settimane, verrà rimandato. Per Xinhua tra le ragioni della sospensione storica dell’attività politica cinese c’è il fatto che “i membri del Congresso nazionale del popolo sono in prima linea per combattere l’epidemia”. E in effetti ogni anno arrivano a Pechino circa tremila delegati per la riunione del Congresso, che avviene insieme con la Conferenza consultiva del popolo: le due assemblee insieme formano la “doppia sessione” (in cinese lianghui) dei due rami del Parlamento cinese. La notizia però è più importante di quanto sembri, soprattutto dal punto di vista della politica interna. Non c’è solo l’emergenza economica, tra le priorità del presidente Xi Jinping: anche la politica cinese, che fonda la sua attività sul protocollo, sulla forma e sulla liturgia, è colpita e rivoluzionata dall’epidemia di Covid-19. E’ difficile prevedere le conseguenze di una posticipazione – ampiamente anticipata dai media nei giorni scorsi – ma il fatto che l’emergenza colpisca anche la sfera istituzionale cinese può dimostrare due cose: la prima è che l’epidemia sia così estesa da costringere a una “sospensione” delle normali attività di un intero paese – e però è particolarmente grave, visto che parliamo della seconda economia del mondo.
D’altra parte, dal punto di vista della narrativa, per Pechino può essere un messaggio altrettanto importante: l’emergenza è arrivata fino ai massimi livelli istituzionali, e tutti sono coinvolti. All’ultimo gradino, però, resta sempre Xi Jinping. Questo accentramento di poteri nelle mani del leader è stato ancora più chiaro sabato quando su Qiushi, la rivista del Comitato centrale del Partito, è stato pubblicato un discorso di Xi nel quale dice di aver dato ordini per la prima volta per contenere l’epidemia da coronavirus già il 7 gennaio. Dal punto di vista pratico, sembrava assai improbabile che Pechino non sapesse dell’epidemia sin dalla comunicazione all’Organizzazione mondiale della sanità, che ha la data del 31 dicembre.
Il fatto che il presidente sapesse della crisi già dall’inizio dell’anno lunare può esporlo alle critiche, ma è anche un modo per controllare il danno: sappiamo che non siete contenti di come i funzionari locali hanno gestito la faccenda, ma noi li avevamo ben istruiti. “L’aspetto interessante del discorso è che ripete molte volte la parola ‘io’”, ha detto al New York Times Jude Blanchette del Center for Strategic and International Studies. “Xi Jinping si sta chiaramente ponendo al centro della risposta di Pechino all’epidemia, ma usa allo stesso tempo pure la vecchia scusa di incolpare i funzionari per le antiche distorsioni del sistema politico cinese”. L’emergenza del Covid-19, nei prossimi mesi, potrebbe aiutare Xi Jinping a rafforzare il suo potere giustificando anche una nuova pulizia tra i quadri del Partito, come ha già fatto con la questione della corruzione. Sono temi politici da considerare anche in vista del riassetto geopolitico che subirà la Cina nei prossimi mesi, proprio a causa dell’epidemia. Non è un caso se, nel momento di maggiore debolezza di Pechino degli ultimi anni, la politica americana sta già organizzando la controffensiva anticinese: alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco non solo i rappresentanti della Casa Bianca ma anche la speaker della Camera Nancy Pelosi ha avuto parole dure contro i colossi cinesi delle telecomunicazioni.