Perché i media non possono seguire la crisi umanitaria più grave del mondo
A Idlib, in Siria, tutti i giornalisti (a parte Arwa Damon della Cnn) sono tenuti fuori
In questo momento al confine tra Siria occidentale e Turchia è in corso la crisi umanitaria più grave del pianeta. C’è anche un problema che riguarda la copertura dei media di questa crisi, ma prima occorre ricapitolare cosa succede. Circa novecentomila civili in fuga sono compressi in un’area sempre più piccola per fuggire dai bombardamenti degli aerei russi e del regime di Damasco – che non risparmiano, anzi cercano e colpiscono, bersagli che un tempo erano considerati tabù come gli ospedali e almeno in due occasioni anche i campi profughi. La regione è quella di Idlib, l’ultima a non essere ancora tornata sotto il controllo del regime siriano – se si fa eccezione per il settore nord-est del paese, che è gestito dai curdi. Il fatto che i gruppi armati che combattono contro l’avanzata delle forze del rais Bashar el Assad siano dominati da islamisti pericolosi non deve far perdere di vista il dato centrale: al momento i civili non hanno vie di fuga. Alle spalle hanno la linea dei combattimenti – che sono molto violenti – e davanti hanno il muro costruito dai turchi negli anni scorsi per controllare il confine e che per ora resta chiuso. Il risultato è un effetto tonnara che presto potrebbe intrappolare molte altre persone perché nella zona ci sono tre milioni di civili. In molti temono, oltre alle bombe, di finire di nuovo sotto il controllo del regime che non cerca una riconciliazione con le regioni ribelli. In questi anni ci sono stati migliaia di casi di oppositori che si sono consegnati dopo molte rassicurazioni nella speranza di una resa pacifica e che invece sono stati uccisi in prigione. Se la Turchia aprisse il confine oggi, ci sarebbe il rischio di una nuova ondata di profughi come quella del 2015. Mercoledì il presidente turco Erdogan ha detto che sta per ordinare l’inizio di un intervento militare turco dentro Idlib, quindi in territorio siriano, per bloccare l’avanzata del regime e in effetti forze militari turche si stanno ammassando nella regione.
E’ possibile che Russia e Turchia si mettano d’accordo per la creazione di una striscia di territorio a ridosso del confine che sarà risparmiata dall’avanzata, ospiterà tutti i profughi e sarà gestita dai turchi – la larghezza di questa striscia negli ultimi negoziati era di sedici chilometri secondo indiscrezioni.
Il problema menzionato all’inizio di questo articolo è che turchi da una parte e assadisti dall’altra controllano in modo ferreo l’accesso dei media alla zona. I turchi non fanno passare giornalisti e in questi giorni hanno dato il permesso soltanto a una inviata della Cnn, la coraggiosa Arwa Damon, che ha spiegato bene la situazione ma vede soltanto uno spicchio di quello che succede. E’ una crisi umanitaria molto seria eppure di fatto l’intera zona è stata sigillata e interdetta ai media internazionali – eccezion fatta come si è detto per la Cnn che serve ai turchi anche per poter dire che loro permettono l’accesso ai giornalisti. Di nuovo: c’è una catastrofe umanitaria in corso che coinvolge quasi un milione di persone lungo un tratto di confine di decine di chilometri e c’è una giornalista. Se pensavamo di vivere nell’èra dell’accesso globale ovunque e sempre, sarà meglio ricredersi. Dall’altra parte del fronte ci sono i media embedded con il regime di Damasco e si tratta di giornalisti internazionali che hanno superato un processo di selezione da parte del regime. Se sono in Siria da quel lato degli eventi è perché in questi anni non hanno mai criticato Assad – che pure è al centro di un’inchiesta internazionale per crimini di guerra.
Per anni i giornalisti internazionali non hanno avuto accesso alla regione di Idlib perché i gruppi estremisti li sequestravano. La sicurezza nell’ultimo periodo stava progressivamente migliorando (è ancora lontana da uno standard accettabile) e un po’ di giornalisti hanno avuto accesso alla zona ad alcune condizioni, come per esempio non spingersi a più di quindici chilometri dal confine e rientrare prima di notte, ma ormai la decisione su chi passa oppure no spetta interamente alla Turchia.