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In Nevada stravince Sanders

Luciana Grosso

Il senatore del Vermont prende il 46 per cento, gli altri si dividono il resto. Secondo Biden, finalmente, terzo Buttigieg

E’ un riassunto facile quello della notte (o meglio del pomeriggio) in Nevada: ha vinto Bernie Sanders, a valanga, con il 46% dei voti; Biden è (finalmente per lui) riuscito ad arrivare secondo, anche se con uno scarsissimo 19%; Buttigieg, al solito, è andato meglio del previsto con il 15% e Warren, al solito, è andata peggio del previsto, ferma all’8% nonostante il trionfo del dibattito il tv. 

Detto questo, ci sono un paio di note da fare. La prima riguarda l’affluenza, che è stata bassissima (circa il 4% degli elettori totali: un numero così basso che fa risultare un po’ ridicola ogni analisi successiva). 

 

 

La seconda riguarda la forza di Bernie Sanders. 

Il senatore del Vermont, non solo ha stravinto (buon per lui) ma ha compiuto due mezzi miracoli. Il primo è che non solo ha portato a casa quasi il 50% dei consensi, ma li ha portati a casa dopo che il maggior sindacato del Nevada, quello dei lavoratori alberghieri cui sono iscritte circa 60 mila persone, gli aveva voltato le spalle (la questione è interessantissima e spiegata assai bene dal New york Times qui). A rigor di logica, il non endorsement del gruppo politico più importante del Nevada, avrebbe dovuto affossare la campagna di Bernie. E invece non l’ha scalfita di un niente.

Sanders ha vinto in 5 caucus su 7 della Strip di Las Vegas, riuscendo a dimostrarsi più forte anche del muro dei sindacati che non vogliono il suo medicare for all e temono di perdere l’assicurazione sanitaria con i fiocchi per cui hanno tanto lottato. 

 

Poi c’è il secondo miracolo compiuto da Sanders, che è stato portarsi a casa il voto dei latini. La vulgata vuole ( o forse è meglio dire voleva) che Sanders sia debole tra gli elettori latini. Il Nevada ha mostrato che non è vero. 

 

 

  

Sarà stato l’effetto dirompente della sua campagna, o forse sarà perché i latini, spesso, sono poveri, ed è ai poveri che Sanders si rivolge prima di tutti, o forse ancora sarà il sacco di soldi che Tio Bernie ha speso in pubblicità in spagnolo (guardando anche a Texas e California, bocconi ben più ghiotti), insomma, sarà quel che sarà, ma fatto è che Sanders è stato il più votato da quei latini che avrebbero dovuto snobbarlo.

 

 

Basti pensare che ha vinto nel distretto di Las Vegas, che è il distretto meno bianco del Nevada, con il 45 % di latini, il 31% di bianchi e l'11% di afroamericani. 

 

E gli altri? 

Gli altri sono arrivati in un gruppone compreso tra il 19% di Biden e l’8% di Warren. Biden, contento di essere ancora vivo, punta tutto sul South Carolina (dove dovrebbe finalmente vincere) e provare a riprendersi il ruolo che aveva prima che le primarie iniziassero davvero, ossia di candidato unitario e perfetto anti-Sanders e anti-Trump. “Non sono un socialista, non sono un plutocrate, sono un democratico” ha detto commentando i risultati. Buttigieg continua la sua strada di candidato di centro, capace di battere Trump, perché capace di erodere il suo consenso moderato: “Mi rivolgo ai democratici, agli indipendenti e anche a qualche repubblicano”, ha detto, facendo venire la pelle d’oca ai sostenitori di Sanders. 

 

Infine c’è Warren, che sta raccogliendo più soldi che voti: 20 milioni di dollari solo nelle ultime settimane, ma ancora nessun risultato decente e, soprattutto, nessun delegato. Ma la senatrice non si dà per vinta e dal palco di Seattle dal quale commenta i risultati punta dritta al South Caroline e (verosimilmente) al SuperTuesday, sfoderando dal palco il suo nuovo cavallo di battaglia, l’attacco  frontale a Mike Bloomberg (“We are not substituting one arrogant billionaire for another.”) che, di questi tempi, è il new black che va un po’ su tutto.