Bruxelles. Questa settimana Ursula von der Leyen ha presentato il suo “Corona response team”, una squadra di commissari europei impegnati nella battaglia per arginare gli effetti del covid-19 sulla salute pubblica, la mobilità e l’economia. “Coordinamento” è il mantra della presidente della Commissione, che di formazione è medico. Eppure se c’è qualcosa per cui stanno brillando le istituzioni europee e gli stati membri è la mancanza di coordinamento. Dopo un primo vertice straordinario dei ministri della Sanità dei 27 due settimane fa, ce ne sarà un altro domani. Ma ciascun governo sta reagendo a modo suo, dimenticandosi che l’Ue è un’area di libera circolazione delle persone con i loro virus. Non si tratta di chiudere le frontiere, perché il viaggio del covid-19 dall’Asia all’Europa ne ha attraversate decine. Il problema è la cacofonia dei 27 nelle misure di contenimento, che alla fine potrebbe portare alla chiusura delle frontiere per il panico. L’Italia controlla la temperatura di chi arriva nei suoi aeroporti, ma non di chi se ne va. La Francia si è messa in moto con piglio dirigista, ma solo negli ultimi giorni. La Germania ha annullato qualche fiera e poco più. L’Olanda ha sconsigliato viaggi in tutto il nord Italia. Il Belgio fa finta di niente, tiene le scuole aperte a chi è stato in zone rosse o gialle, mantiene eventi con migliaia di persone e incrocia le dita (il presidente di un’associazione di medici, Philippe Devos, ha evocato 850 mila contagi se non ci saranno misure di precauzione più drastiche).
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