Quelli che proprio non vogliono capire
Dall’Nba a Londra ai puffi, ecco la classifica degli arroganti fregati dal virus
Roma. Questa pandemia è preceduta e accompagnata da una galleria di personaggi sospesi a metà tra l’arroganza cieca e l’incapacità di capire che cosa sta succedendo. Sono quelli che minimizzano, che non vogliono capire, che si credono al riparo di qualche scudo magico. Sono quelli che mentre tutti si svegliano rifiutano di svegliarsi. Se li trovassimo in una sceneggiatura li crederemmo troppo poco credibili. Quando tutto questo sarà finito, le mamme li additeranno ai bambini: “Non fare come lui”. Abbiamo fatto una classificai per raccontarli.
Al primo posto c’è Rudy Gobert, giocatore di pallacanestro degli Utah Jazz, una squadra dell’Nba americana. Gobert due giorni fa in conferenza stampa per prendersi gioco della paura del contagio ha passato le mani su tutti i microfoni che stavano davanti a lui, davanti a un gruppetto di giornalisti dubbiosi. Ieri è diventato il primo giocatore dell’Nba positivo al coronavirus. Risultato: l’Nba è stata chiusa. E pensare che fino a una settimana fa LeBron James aveva detto che lui si rifiuta di giocare un campionato in palazzetti vuoti. Poi qualcuno deve avergli fatto cambiare idea e due giorni fa il campione di pallacanestro ha detto che va bene giocare anche senza pubblico.
Ma le pandemie a crescita esponenziale sono un meccanismo spietato e il tempo delle partite nei palazzetti vuoti in via cautelativa sembra una lontana età dell’oro. Adesso non ci sono più partite. Chissà cosa pensa Gobert del suo sketch, dalla stanza isolata dove si trova adesso. Anche un suo compagno di squadra è stato trovato positivo, chissà che non abbia usato uno di quei microfoni (c’è anche polemica: in molti si chiedono come sia possibile che gli americani abbiano a disposizione pochissimi test per il virus ma i giocatori dell’Nba siano testati subito e in massa). Un merito va riconosciuto a Gobert. La chiusura dell’Nba (e di basebbal e hockey) è il vero segnale che ha fatto percepire agli americani che qualcosa di grosso sta succedendo.
Al secondo posto il governo inglese con la teoria dell’immunità di massa. I sottosegretari del ministero della Sanità inglese sono tutti in isolamento, dopo aver detto fino a qualche giorno fa che lavandosi le mani ci si sarebbe protetti dal coronavirus – l’ultimo è Edward Argar che martedì, nel suo intervento ai Comuni sul contenimento, tossiva moltissimo. Ieri il premier, Boris Johnson, ha detto che non si tratta di una semplice influenza ma “chiudere le scuole non serve a fermare il contagio”. Ha poi passato la parola agli esperti cui BoJo si affida – è il suo alibi: me lo dicono gli esperti - Chris Whitty e Patrick Vallance che hanno esposto il modello inglese: chi ha sintomi influenzali non gravi stia in isolamento ma non chiami il servizio di pronto soccorso; ci sono da 5 a 10 mila inglesi che hanno il virus, “non si può evitare che molti siano contagiati, e non è nemmeno desiderabile perché la popolazione deve sviluppare un certo grado di immunità”; bisogna posticipare il più possibile il picco in modo che il sistema sanitario abbia modo di organizzarsi. Intanto il governo si è rimangiato le sue politiche di austerità: il budget presentato mercoledì presenta molti stimoli per far reggere l’economia durante e dopo la pandemia.
Al terzo posto Sibeth Ndiaye, portavoce del governo francese, e i puffi in Bretagna. Mercoledì Ndiaye ha detto in conferenza stampa che l’Italia “ha preso delle misure che non sono servite ad arginare l’epidemia” adesso pandemia mondiale. Ma la Francia è il quarto paese con più contagi in Europa e aumentano rapidamente. Parigi era convinta di poter gestire la situazione in modo diverso, senza troppe restrizioni se non nell’Oise e nell’Alto Reno, le zone più colpite dove sono state chiuse le scuole e vietate manifestazioni con più di cinquanta persone prima che ieri sera Macron introducesse misure straordinarie non distanti da quelle che l’Italia è stata già costretta a prendere già più di una settimana fa. La Francia voleva continuare la sua vita, ma arrivano segnali rapidi che cercano di farle capire quanto tutto accada in fretta. Soltanto sabato scorso, 3.500 persone vestite da puffi si erano radunate a Landerneau, Bretagna, con l’obiettivo di battere il record di presenze nonostante il coronavirus, “Pufferemo il virus”, dicevano sui social. Il giorno dopo il governo ha vietato i raduni di più di mille persone. Lunedì il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto una passeggiata dimostrativa per gli Champs-Élysées per dire: abbiate fiducia. Lo stesso giorno il ministro della Cultura Franck Riester è risultato positivo al virus.
Al quarto posto Iraj Harirchi, viceministro della Sanità in Iran, che il 24 febbraio si è presentato in conferenza stampa davanti alle telecamere per smentire le voci tendenziose che parlavano di un’epidemia di coronavirus nel paese. Asciugandosi la fronte dal sudore, il viceministro ha sfidato un parlamentare di Qom che parlava di cinquanta morti a fornirgli la lista dei nomi, anche soltanto di metà oppure di un quarto. Se avrò i nomi mi dimetterò, ha detto. La sera è andato a ribadire che la situazione era sotto controllo in uno studio televisivo, dove oltre a sudare molto tossiva in continuazione senza nemmeno coprirsi la bocca. Mentre l’ayatollah Khamenei dichiarava che il virus era una bufala messa in giro dalla propaganda nemica, Harirchi era il volto del governo che forniva i numeri ufficiali del contagio, apparsi fin dall’inizio troppo bassi per essere realistici. L’Iran ha coperto le dimensioni reali del contagio e adesso è alle prese con una catastrofe ospedaliera. Il giorno dopo le comparsate davanti alle telecamere, Harirchi è risultato positivo al coronavirus.