Milano. Il documento che ha cambiato la politica di lotta al coronavirus del Regno Unito, della Francia e degli Stati Uniti è stato redatto dal Center for epidemiological analysis and modelling of infectious diseases dell’Imperial College di Londra assieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine sulla base delle “notizie arrivate dall’Italia”, ha detto il ricercatore che ha la regia di questo studio, Neil Ferguson. Segniamoceli, questi nomi, assieme al nome di battaglia del team di scienziati – Covid-19 Response Team – e a quelli dei centri di ricerca coinvolti perché senza il loro modello d’analisi probabilmente le misure di contenimento sarebbero ancora deboli in molti paesi, saremmo ancora qui a parlar di immunità di gregge e a registrare lo spavento di inglesi, francesi e americani di fronte alla lentezza dei loro governi. Certo, una domanda resta: qualsiasi grafico pubblicato nelle ultime settimane evidenzia una linea del tempo chiara, con numeri esponenziali di contagio e progressivamente restrizioni alla circolazione – questo vale ovunque, e vale ancor più in Italia che è stato il primo paese in occidente a essere colpito dall’epidemia e che presenta caratteristiche sistemiche simili alle nazioni europee e all’America, quindi facilmente comparabili. Perché c’è stato bisogno di uno studio combinato di statistici ed epidemiologi per dare la spintarella nella giusta direzione? Non bastava guardare cosa hanno fatto gli italiani, o fidarsi un pochino di più della disciplina e della responsabilizzazione italiana?
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