Roma. Il “modello cinese” per trionfare contro il coronavirus che in questi giorni vediamo esaltato dai media di stato della Cina e lodato pure da noi in Italia potrebbe non essere così trionfante, nel senso che potrebbe non avere funzionato così bene come crediamo qui – dove siamo alla ricerca di un buon segno qualsiasi. C’è una seconda ondata di contagi che colpisce l’Asia e in particolare proprio la Cina, come scriveva il Financial Times di ieri. Il governo di Pechino sostiene che è tutta colpa dei casi di trasmissione di coronavirus da rientro – i cinesi che arrivano dall’estero – e che il loro numero è salito a 155 da cinquanta che erano due settimane fa. Eppure la Cina ha adottato una politica della quarantena obbligatoria per tutti gli arrivi da fuori – dura i soliti quattordici giorni, sono tenuti a pagare vitto e alloggio – e se la misura è efficace allora vuol dire che c’è ancora qualche sacca attiva di infezione sul territorio cinese. I racconti di ritorno alla normalità nello Hubei, la regione della Cina più colpita dal virus che cerca di uscire da cinquanta giorni di lockdown, andrebbero per questo presi con cautela.
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