Propaganda virale
“Altro che italiano, il virus è cinese”. Parla Remuzzi, lo scienziato usato da Pechino come arma di propaganda
Roma. “Non c’è alcun dubbio che il virus sia cinese. Questo è un esempio da manuale, da insegnare nelle Università, su come si possa manipolare l’informazione scientifica per ragioni di propaganda”. Il professore Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri e uno dei più noti scienziati italiani nel mondo, in questi giorni è diventato suo malgrado uno strumento della propaganda di Pechino, che ha diffuso una sua dichiarazione per far credere che l’origine del coronavirus possa essere italiana.
In un’intervista di qualche giorno fa alla National Public Radio americana, Remuzzi aveva dichiarato che alcuni medici della provincia di Bergamo ricordano di aver visto “strane polmoniti, molto gravi, in particolare negli anziani a dicembre e persino a novembre. Significa che il virus circolava almeno in Lombardia prima che venissimo a conoscenza” del focolaio di Wuhan reso noto a gennaio. Nel fine settimana vari organi di propaganda cinesi, tra cui il Global Times e l’ambasciata cinese in Francia, hanno usato la dichiarazione di Remuzzi per sostenere che la pandemia potrebbe essere partita dall’Italia. “Questa è un’affermazione, o un’insinuazione, del tutto strumentale a fini di propaganda interna ed esterna”, dice al Foglio il prof. Remuzzi. “Non c’è alcun dubbio, in base alla genetica, che il virus sia cinese. Lo ha descritto benissimo su Science Daniel Lucey, della Georgetown University, che ha fatto vedere tutta la strada percorsa dal virus. Le prime infezioni sono avvenute in Cina a novembre, forse anche prima. Ripeto, non ci sono dubbi che il virus sia cinese”. In questi giorni Remuzzi è stato contattato da molti giornalisti cinesi che cercavano conferma della presunta origine italiana del virus.
E ai media cinesi Remuzzi ha risposto che “tutto quello che so è stato pubblicato su Lancet. Il virus è arrivato in Italia da Wuhan, dove circolava da un po’ di tempo prima che sia stato reso noto dalla Cina. Se l’avessero detto prima…”. E le strane polmoniti a dicembre in Italia? “Sono le voci e le impressioni dei medici sul territorio, non confermate da test e neanche dalla tac. Non abbiamo evidenza scientifica che siano casi di Covid-19, sono osservazioni da cui partire per studiare. Ma una cosa è certa: il virus circolava a Wuhan da prima, e la genetica lo conferma oltre ogni dubbio. L’ho detto anche ai giornalisti cinesi”.
Il caso Ramuzzi è l’ennesimo episodio di un problema più grande. Già da un paio di settimane l’emergenza pandemia si sta trasformando in una guerra di propaganda. Il 12 marzo scorso Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese e uno dei funzionari di Pechino più in vista nel mondo occidentale – è stato uno dei primi a usare Twitter per comunicare, un social network ufficialmente bloccato dalla censura cinese – ha rilanciato ai suoi 481 mila follower una delle teorie complottiste, e largamente smentite, che circolano sui social asiatici. Zhao ha pubblicato un breve video di Robert Redfield, direttore del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie americano, che diceva al Congresso che molti morti per influenza in America erano poi stati identificati come pazienti Covid-19. E il funzionario cinese ha commentato che l’America avrebbe dovuto dire di più su questi casi, visto che nell’ottobre scorso centinaia di atleti americani hanno soggiornato a Wuhan per i Giochi mondiali militari: “Potrebbe essere stato l’esercito americano ad aver portato l’epidemia a Wuhan. Siate trasparenti! Rendete pubblici i vostri dati! Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione!”. Qualche giorno dopo anche Geng Shuang, vicedirettore del Dipartimento informazione del ministero degli Esteri di Pechino, ha detto che nella comunità scientifica ci sono “varie opinioni” sull’origine del virus. Teoria rilanciata poi dal Global Times e da altri media ufficiali, smentita però dai fatti: la comunità scientifica internazionale ha dimostrato l’origine del virus nello Hubei.
E’ anche in risposta alle insinuazioni che il presidente americano Donald Trump da qualche giorno, durante il briefing sull’emergenza con i giornalisti, parla insistentemente di “virus cinese”. Quando qualcuno lo ha accusato di razzismo, e di pericolo per la comunità sino-americana, Trump ha replicato che deve essere ben chiara l’origine del problema. Un problema che rischia di aumentare le frizioni tra America e Cina, tanto che ieri si è dovuto scomodare perfino Cui Tiankai, ambasciatore cinese in America, che in un’intervista ad Axios ha detto: “Lasciamo che sia la scienza a parlare” sull’origine del virus.
l'editoriale dell'elefantino