Il virus costringe le nostre truppe a ripiegare dall'Iraq
I carabinieri della Police Task Force di Baghdad pronti a ritornare in patria per via dell'epidemia
La parola chiave è ripiegamento. Nessuna chiusura, anche se di fatto la base resterà praticamente sprangata e incustodita. I carabinieri italiani della Police Task Force Iraq presenti a Baghdad sotto le insegne dell’operazione “Prima Parthica”, infatti, sono ormai pronti a chiudere le valigie per rientrare frettolosamente in patria. Camp Dublin chiude dal 2 aprile ma, stando a quello che è trapelato, la causa non andrebbe ricercata esclusivamente nell’instabilità della zona.
Ai circa cinquanta militari ancora presenti e guidati dal colonnello Saverio Ceglie, infatti, la notizia è stata comunicata meno di una settimana fa e con spiegazioni piuttosto confuse. Se infatti a gennaio, quando sono state sospese le attività di addestramento a supporto della polizia locale in seguito all’instabilità creata dall’uccisione del generale iraniano Qassem Suleimani a meno di due chilometri da Camp Dublin, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva assicurato che i nostri soldati sarebbero rimasti a Baghdad, ora ad avere la meglio potrebbe essere la paura del contagio da coronavirus.
Da quanto trapelato, la decisione sarebbe stata presa nel timore che la diffusione del Covid-19 nella capitale irachena potesse finire per interessare anche il Baghdad Diplomatic Support Center (Bdsc), la base americana all’interno della quale sorge anche l’aeroporto e dove i nostri militari entrano per consumare i pasti, e costringere così le autorità statunitensi alla chiusura della struttura e al rimpatrio dei soldati presenti. Così, per evitare che i nostri carabinieri possano restare “isolati” nella scuola di addestramento delle forze di polizia irachene all’interno della quale sorge Camp Dublin, si sarebbe deciso di “ripiegare” rimandando in Italia tutti, a esclusione di quattro militari che resteranno ospiti del Bdsc.
Una strategia, adottata anche da altri paesi che fanno parte della coalizione, che in qualche modo contrasterebbe con le raccomandazioni arrivate dai vertici della missione “Inherent Resolve” che avevano invece chiesto ai contingenti soltanto di ridurre le presenze sul territorio.
Dall’ottobre del 2014, quando l’operazione “Prima Parthica” è iniziata sotto le insegne dalla missione internazionale "Inherent Resolve", sono stati più di 37 mila i poliziotti iracheni che hanno partecipato ai corsi tenuti dai nostri carabinieri sul controllo del territorio, le tecniche di polizia, la gestione dell’ordine pubblico e le attività di bonifica degli ordigni inesplosi. Le attività di addestramento sono sospese da gennaio e ufficiosamente, secondo le comunicazioni intercorse in queste ore fra autorità italiane e vertici della polizia irachena, dovrebbero riprendere a giugno. In un contesto in cui comunque l’area è ancora difficile è però impossibile fare ipotesi realistiche. Innanzitutto perché, escluse ulteriori escalation belliche e ipotizzando l’attenuarsi dell’allarme coronavirus, è difficile immaginare le condizioni in cui sarà Camp Dublin dopo due mesi di quasi totale abbandono (“Il materiale che lasciamo vale diversi milioni di euro. Resteranno qui anche due robot usati per il disinnesco di Ied”, racconta una fonte) e poi perché per potere consentire il rientro dei nostri militari sarà necessaria una importante operazione di bonifica preventiva per scongiurare trappole e rischi di attentati.