La Cina ha approfittato della pandemia per aumentare la persecuzione religiosa
Tra chiese demolite e uiguri nei campi di lavoro, "i funzionari cinesi hanno proibito la predicazione online, l’unico modo per le chiese di raggiungere i fedeli tra persecuzione e diffusione del virus"
Roma. “Il peggioramento della persecuzione religiosa in Cina richiede una più forte risposta degli Stati Uniti”, scrive questa settimana la ong Freedom House. Il regime cinese, che ieri ha annunciato la chiusura delle sue frontiere al mondo, ha approfittato dell’emergenza pandemia e della stretta sulla popolazione per accelerare sulla persecuzione delle comunità religiose.
The Voice of the Martyrs, un’organizzazione che aiuta i cristiani perseguitati in tutto il mondo, riferisce in un rapporto: “La Cina si sta presentando come modello per combattere il coronavirus”. “Ma combattere la pandemia non ha impedito ai funzionari comunisti di perseguitare i cristiani”, dice Todd Nettleton, portavoce dell’organizzazione. I funzionari della provincia di Jiangsu hanno sfruttato il blocco per demolire la chiesa di Xiangbaishu nella città di Yixing, secondo un video condiviso da Bob Fu, il fondatore di China Aid e fellow del Council on Foreign Relations. Il 13 marzo, il gruppo cinese Christian Fellowship of Righteousness ha condiviso un video di una croce rimossa da una chiesa a Guoyang, nella provincia di Anhui. Nella provincia di Shandong, i funzionari cinesi hanno proibito la predicazione online, l’unico modo per le chiese di raggiungere i fedeli tra persecuzione e diffusione del virus, aggiunge Nettleton. Una direttiva del Movimento patriottico e del Consiglio cristiano cinese provinciale di Shandong – le due organizzazioni che il Partito comunista usa per controllare il cristianesimo protestante in Cina – ha chiuso tutti gli incontri cristiani “non registrati”, ovvero non controllati dal regime.
Ma non solo cristiani. Migliaia di musulmani della minoranza uigura cinese sono stati portati a lavorare in condizioni schiavistiche in fabbriche che riforniscono alcuni dei più grandi marchi del mondo, secondo un nuovo rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute. Secondo il rapporto, le fabbriche fanno parte della catena di approvvigionamento di 83 noti marchi globali, tra cui Nike, Apple e Dell. “Il nostro rapporto chiarisce che l’espropriazione ai danni di uiguri e di altre minoranze etniche nello Xinjiang ha anche un forte carattere di sfruttamento economico”, ha detto alla Bbbc il coautore del rapporto, Nathan Ruser. Un altro rapporto della Fondazione memoriale delle vittime del comunismo denuncia che gli organi in vendita sul mercato dei trapianti in Cina vengono da “prigionieri di coscienza” di etnia uigura e fedeli del Falun Gong. Dopo le pressioni internazionali, nel 2015 la Cina aveva iniziato a dichiarare che stava acquisendo organi solo da donatori volontari, ma il rapporto afferma che i dati rilevanti sono stati falsificati, con il numero di trapianti rivisto al ribasso, come parte del tentativo di ingannare la comunità medica globale. Le autorità nella regione autonoma uigura dello Xinjiang della Cina nord-occidentale hanno rinchiuso fino a 1,8 milioni di uiguri e altre minoranze nei “campi di rieducazione”, con notizie di analisi del sangue e del Dna. “La coincidenza dell’internamento di massa nello Xinjiang, la rapida disponibilità di organi negli ospedali cinesi e i test del sangue e fisici coerenti con la valutazione della salute degli organi, sono facilmente spiegabili dallo sfruttamento degli uiguri”, recita il rapporto dell’organizzazione americana. Il rischio con tutti i “doni” dalla Cina è che la questione religiosa venga messa a tacere in occidente, dove non è mai granché stata sollevata. Come scrive Bernardo Cervellera, direttore di Asia News: “I doni della Cina all’Italia sarebbero ancora più graditi se Xi Jinping regalasse al suo popolo la libertà di parola e di stampa. Farebbe un favore alla sua gente e al mondo intero. E penso anche che se i nostri politici italiani vogliono davvero essere amici della Cina, non possono nascondere a Pechino questa verità”. Il cardinale Joseph Zen, molto critico dell’accordo concluso tra Vaticano e Cina, questa settimana ha detto che la chiesa clandestina, quella non riconosciuta dal regime cinese, è sempre più “abbandonata” al proprio destino. Senza neanche più l’occidente a tenere alta l’attenzione sulla sua persecuzione.
L'editoriale dell'elefantino