Bruxelles. Usare i tulipani per implorare i Paesi Bassi di accettare i Coronabond può avere senso in termini di razionalità economica, ma non va dimenticata quanto è radicata nella società olandese l’avversione per l’azzardo morale. Paradossalmente è proprio dai tulipani che bisogna partire per comprendere il “nee” del premier Mark Rutte agli appelli alla solidarietà attraverso i Coronabond o alle linee di credito del Mes senza le cosiddette “condizionalità”. Era l’anno 1637 e nei Paesi Bassi era esplosa la “Tulipmania”, quella che molti considerano come la prima grande bolla speculativa scoppiata nella storia del capitalismo. Grazie alla sua popolarità in Europa, il bulbo di tulipano era diventato il quarto principale prodotto di esportazione olandese (dopo gin, aringhe e formaggio), il prezzo salì alle stelle (le qualità più pregiate potevano essere scambiate con terreni e bestiame), vennero inventati i primi “future” (titoli sulla produzione futura). Poi, a un tratto, tutti si misero a vendere, provocando in pochi giorni il crollo del prezzo dei bulbi da oltre 200 fiorini a poche unità. Gli storici sono divisi sugli effetti economici dello scoppio della bolla. Ma secondo Anne Goldgar, professoressa al King’s College di Londra e autrice del libro “Tulipmania”, quell’episodio fu all’origine di una profonda svolta culturale nella società olandese. L’armonia sociale saltò perché vennero sacrificati “fiducia, onore, verità, civiltà, moderazione”, ha scritto Goldgar. Nacque lì il moralismo che oggi spinge il ministro delle Finanze Wopke Hoekstra a chiedere un’inchiesta sui paesi come l’Italia che non hanno risparmiato abbastanza per affrontare la crisi del coronavirus.
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