God save the Queen
Dieci ragioni dell’eccezionalità di Elisabetta II e del suo senso per le ripartenze
La prima lite politica della mia vita riguardava la Regina. Avrò avuto sei o sette anni, mia madre disse di sedermi con la famiglia per guardare il tradizionale messaggio di Natale della Regina. “Perché?”, protestai. “Perché dovrei provare qualche interesse nell’ascoltare che cosa dice questa ricca signora soltanto perché vive in un’enorme casa chic, indossa una corona e ha una voce un po’ sciocca?”.
Questo accadeva più di mezzo secolo fa, era l’inizio di un repubblicanesimo piuttosto persistente. Mia madre, che era nata nello stesso mese della Regina, l’aprile del 1926, e che si chiamava con lo stesso nome, Elizabeth, purtroppo non è più con noi. La Regina invece lo è, tantissimo. Mi piacerebbe che mia madre fosse qui ora a vedermi mentre scrivo queste parole: assieme a milioni di persone, non vedevo l’ora di guardare e ascoltare la Regina non appena ho saputo che avrebbe rivolto un messaggio speciale alla nazione riguardo alla crisi del coronavirus. Di più: è il caso di dire che la Regina è una delle persone più eccezionali del pianeta, se non la più eccezionale. Qui provo a spiegare dieci ragioni di questa eccezionalità, tra le tante.
"We will succeed and that success will belong to every one of us"
— BBC News (UK) (@BBCNews) April 5, 2020
The Queen delivers a rallying message to the UK in its fight against coronavirus, thanking healthcare workers as well as people for staying at home and following government ruleshttps://t.co/Ku4DOhcotY pic.twitter.com/wdBsaFQjeQ
Una longevità unica. Ha fatto “lo stesso lavoro” per quasi settant’anni. Ammiriamo giustamente persone come Sir Alex Ferguson o Arsène Wenger che sono sopravvissuti per decenni alla guida di squadre di calcio, o Angela Merkel che guida una democrazia come quella tedesca da quindici anni, ma settant’anni! Non c’è nessun altro al mondo.
Un’eccellenza duratura. La Regina c’è dai tempi di Winston Churchill: i politici arrivano e vanno, a volte sono popolarissimi altre volte molto meno, ma grazie al modo con cui ha interpretato il suo ruolo, la popolarità della Regina non è mai stata sotto al 60 per cento, a volte anzi ha toccato l’80-90 per cento.
Una fama universale (cosa molto diversa dall’essere famoso). Il volto della Regina è tra le immagini più riprodotte al mondo, 300 miliardi di francobolli a dir poco, centinaia di milioni di monete e banconote nel Commonwealth. E’ riconosciuta a livello universale, e a livello universale è ammirata. Se dici “la Regina” in qualsiasi conversazione, tutti sanno che stai parlando di lei, del monarca dei monarchi. La sua morte, quando arriverà, sarà un momento epocale a livello globale.
Umiltà. La Regina riesce a indossare con leggerezza la propria fama e l’autorità che le deriva dalla Costituzione. Un suo consigliere una volta mi ha detto: “Lei sa che non ha fatto nulla per meritarsi la posizione di privilegio che ha. E’ stata buttata lì, un incidente di nascita”. Lei non se lo dimentica mai.
Brava nelle crisi/adattabilità. La Regina ha avuto molte crisi da gestire, e ha mostrato che sa come farlo, cambiando e adattandosi. Come ho imparato quando è morta la Principessa Diana – allora la Regina rivolse un altro dei suoi rarissimi messaggi non natalizi alla nazione – lei è in grado di mantenere la testa quando tutti gli altri tendono a perderla.
C’era molta riluttanza tra i reali ad abbassare la bandiera a Buckingham Palace, a ritornare a Londra da Balmoral, a parlare alla nazione: la Regina era tra i riluttanti. Ma quando lei e il Principe Filippo decisero che queste azioni erano necessarie, tutto il sistema si mosse. Quando la Regina camminò fuori dal Palazzo, come ho appuntato sui miei diari del tempo, l’umore pubblico cambiò completamente, in un istante. “La Regina – dice lo storico Tristram Hunt – diventerà un caso di scuola nella tecnica gestionale del rebooting”, della ripartenza.
Resilienza. Ci sono stati momenti in cui il movimento repubblicano ha avuto il vento a favore e ha pensato che tutto il costrutto reale potesse collassare. Lei li ha superati tutti. Il suo “annus horribilis”, il 1992, quando la sua famiglia era diventata una orripilante soap opera e il castello di Windsor aveva preso fuoco, è stato l’unico momento in cui i suoi cortigiani hanno pensato che la Regina avesse perso la capacità di superare e resistere a qualsiasi sfida la vita le avesse posto davanti. Da quell’esperienza lei emerse più forte.
Umanità. Ho incontrato un po’ di persone del suo staff a vari livelli ma mai nessuno che non la rispettasse o non la ammirasse. Il suo amore per gli animali – anche se la famosa scena del cervo nel film con Helen Mirren, quella in cui la Regina sta piangendo (è il 1992) ma vedendo un cervo riprende forza, è stata inventata – è profondo e genuino. Un suo consigliere mi ha detto che l’amore per i cavalli nasce dal fatto che quando cavalca la Regina “si sente come una persona normale, non come un capo di stato”.
Humour. Durante il Giubileo d’oro, Tony Blair organizzò una cena a Downing Street per la Regina, per i premier ancora in vita – Blair, John Major, Margaret Thatcher e Jim Callaghan – e per i parenti dei premier ormai morti. Mentre tutti si riunivano verso la tavola un po’ nervosi, lei disse: “Non è meraviglioso non dover essere presentato a nessuno?”.
Mistero. Anche chi la vede con regolarità, come i suoi quattordici premier durante l’incontro settimanale, non sa davvero come la Regina la pensa riguardo a molti temi che vengono discussi. Non muove mai un passo sbagliato sul fronte politico, e anche se è tra le persone di cui tutti scriviamo con maggiore frequenza, non sappiamo davvero molto di lei oltre a quello che si vede.
Senso del dovere. Questa è la qualità che meglio descrive la Regina. Non sarebbe umana se ogni tanto non pensasse: “Oh no, un altro party in giardino, un’altra investitura, un’inaugurazione, una visita nel Commonwealth, una cena di stato in cui devo leggere una serie di banalità preparate dal ministero degli Esteri”. Ma lo fa, ancora e ancora e ancora. Perché questo è il suo dovere.
Quando ho scritto il libro “Winners”, in cui parlo di leader nel mondo degli affari, nella politica e nello sport, l’ex boss di Bp John Browne mi ha consigliato di includere anche la Regina, “a very British winner”, e io l’ho ascoltato. Uno dei consiglieri reali che ho intervistato mi ha detto che per comprendere la Regina avrei dovuto riflettere sulle parole del saggista americano Ralph Waldo Emerson, quelle sulla terra che sopporta e le stelle che resistono. “La terra e le stelle non hanno una strategia”, mi ha detto, “Ci sono. Per la Regina è la stessa cosa: c’è. E’ così che lei si vede. Ogni suo anno è una stagione, ogni suo giorno è una piccola stagione. Si muove allo stesso ritmo sempre, facendo sempre le stesse cose”. Un altro consigliere mi ha detto che il riferimento letterario migliore è “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il celebre passo “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”.
La Regina ha assistito a ogni genere di cambiamento, e ne ha portato. Lei c’è , “show not tell” nella sua forma più sublime. La Regina del 1953 non avrebbe mai permesso a una rockstar come Brian May di cantare l’inno nazionale dal tetto di Buckingham Palace, come è accaduto al Giubileo d’oro. La Regina del 2002 non sarebbe mai apparsa in un filmato per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi e delle ParaOlimpiadi con Daniel Craig nei panni di James Bond e una Regina che salta dall’elicottero, come è accaduto nel 2012. C’è così tanto cambiamento in queste situazioni così diverse, ma l’unica cosa diversa in lei è l’abbigliamento e il colore dei capelli. Lei è, solo questo, e l’ultimo suo messaggio, essendo semplicemente la Regina, contribuirà ad aumentare la leggenda e la storia di un essere umano davvero eccezionale.