Il caso ungherese
Orbán e la pandemia: quando si comincia con il limitare le libertà e si finisce con il limitare la democrazia
Che cosa insegna la risposta ungherese alla pandemia? Quali sono gli errori da evitare?
Cominciamo con il dire che la legge approvata dal Parlamento ungherese (137 voti a favore, 53 contrari) introduce, in via permanente, due nuovi articoli del codice penale, diretti a prevedere pesanti sanzioni (da 3 a 5 e da 3 a 8 anni di carcere) per chi diffonde notizie false oppure tali da ostacolare la difesa dalla pandemia, e per chi ostruisce l’applicazione di misure eccezionali. Si coglie l’occasione dello stato di emergenza per prevedere stabilmente due reati a maglie molto larghe, uno dei quali inciderà sulla libertà di manifestazione del pensiero.
Quali sono gli altri punti che fanno dubitare per le libertà in Ungheria?
Primo: il tipo di misure che il governo è autorizzato ad adottare (sospendere l’applicazione di leggi, disapplicare regolamenti, eseguire per decreto misure straordinarie addizionali). Secondo: sospensione per legge di elezioni a ogni livello, e di referendum. Terzo: assenza di un limite temporale del potere governativo di eccezione (il governo può adottare misure eccezionali fino alla fine dell’emergenza – come determinata dal governo – o fino a quando il Parlamento revoca l’autorizzazione). Quindi, il potere è concentrato nel governo e la democrazia è sospesa, senza una data limite precisa. Nel preambolo della legge si fa espresso riferimento al fatto che le sessioni del Parlamento potrebbero essere sospese a causa dell’emergenza (anche se il Parlamento è convocato per i prossimi giorni, per approvare una legge che impedisce la registrazione del cambiamento di sesso ai “transgender”).
Ma non sono stati previsti contrappesi?
È previsto che il governo informi il Parlamento o il presidente e i presidenti dei gruppi parlamentari; però, i presidenti non possono revocare l’autorizzazione data al Parlamento. È inoltre previsto che presidente e segretario generale della Corte costituzionale ne assicurino la continuità di funzionamento, anche in via telematica. Ma la Corte costituzionale è composta di giudici eletti dallo stesso Parlamento in cui Orbán ha una forte maggioranza.
Come si configura ora il diritto dell’emergenza in Ungheria?
Qui sta uno degli aspetti più gravi – e nascosti nell’ambiguo articolo 3 – della legge. La Costituzione ungherese del 2011 contiene una serie di articoli, dal 48 al 54, sullo stato di eccezione, a seconda se dovuto a minaccia terroristica, crisi, emergenza, attacco inatteso, stato di pericolo, esigenza di difesa preventiva. Il regime costituzionale dell’emergenza è delimitato in vario modo: maggioranze parlamentari di due terzi per deciderlo; risoluzione parlamentare per terminarlo; durata di 15 giorni delle misure di eccezione, salvo eventuale estensione parlamentare. La nuova legge introduce in modo non chiaro, direi surrettizio, alcune modificazioni di rilevanza costituzionale. Il governo dichiara lo stato di emergenza; il Parlamento può revocare le misure adottate, non lo stato di emergenza. Sono confermate le misure già adottate prima della nuova legge. Queste – a quel che pare – non possono essere revocate. Non è prevista la scadenza automatica delle misure dopo 15 giorni. Siamo ben lontani dalle previsioni dell’articolo 16 della Costituzione francese, che viene invocato in questo periodo dalle autorità ungheresi come precedente.
Torno alla prima questione: che cosa insegna questa vicenda?
Che si comincia con il limitare le libertà e si finisce con il limitare (“democraticamente”) la democrazia. Che la democrazia non è solo elezioni, perché anche la maggioranza popolare può sbagliare. Democrazia è anche libertà di manifestazione del pensiero, libertà di associazione, contrappesi, divisione dei poteri. Specialmente dove non c’è alternanza (l’attuale primo ministro ungherese è ora al potere da dieci anni e lo è stato in precedenza dal 1998 al 2002; ha un ampio controllo dei media).
Se questa legge è legittima secondo il diritto ungherese – pur con le osservazioni da lei ricordate sulla sua conformità alla Costituzione – lo è per gli standard europei? Non dobbiamo preoccuparci di una tendenza di questo tipo in un paese membro dell’Unione europea?
L’art. 2 del Trattato sull’Unione europea dispone che essa rispetta libertà, Stato di diritto, diritti umani. Il Parlamento europeo il 12 settembre 2018 ha, con 448 voti a favore, 197 contrari e 48 astenuti, approvato una relazione della parlamentare Judith Sargentini secondo la quale c’è il rischio in Ungheria della violazione di ben 12 diritti fondamentali. Purtroppo, il Consiglio europeo, dopo aver sentito nel settembre e dicembre 2019 il governo ungherese, non ha ancora proceduto alla constatazione di una “violazione grave e persistente dello Stato di diritto”, e il Parlamento è ritornato sul tema il 16 gennaio 2020, sollecitando il Consiglio europeo a tenere regolari udienze con il governo ungherese e a procedere secondo l’art. 7 del Trattato. Quindi non ha avuto seguito la procedura dell’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che prevede una sequenza in tre fasi: messa in mora, decisione, sanzione. Siamo fermi alla messa in mora.
E questa nuova legge non ha provocato altre reazioni?
I governi di Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia hanno, con dichiarazione diplomatica del 1° aprile, chiesto, in termini generali, che l’Unione accerti che la legislazione emergenziale non violi la democrazia, i diritti fondamentali, lo Stato di diritto e le libertà di manifestazione del pensiero e di stampa. Il governo ungherese afferma di aver sottoscritto questa dichiarazione. Alla tragedia si aggiunge la commedia.
Le reazioni delle forze politiche italiane?
Salvini ha dichiarato il 30 marzo che è “una libera scelta del Parlamento ungherese eletto democraticamente dai cittadini”. Non lo sfiora il dubbio che anche i rappresentanti del popolo democraticamente eletti possano sbagliare, come è accaduto in Italia negli anni Venti dello scorso secolo e in Germania dieci anni dopo. E non considera che egli non avrebbe oggi libertà di esprimersi se gli errori compiuti in Italia e Germania non fossero stati “corretti” da interventi esterni (allora fu necessaria una guerra).
Ma in Italia non si è fatto qualcosa di simile, con la legislazione di emergenza?
Le differenze sono molte. Il secondo decreto legge stabilisce un termine (31 luglio). Esso elenca le misure, a differenza del primo, che le elencava, ma poi lasciava la porta aperta ad atti innominati. Il governo non può sospendere leggi.
Si ripresenta il problema dei rapporti tra libertà e democrazia. Può un ordinamento democratico non essere liberale?
Tra liberalismo e democrazia c’è una duplice imbricazione, una funzionale, una storica. Dal punto di vista funzionale, se democrazia si identifica solo con il diritto di votare periodicamente, e si riconosce che possano essere limitate o compresse libertà di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero, le elezioni perdono di significato: non si avrebbe libertà di riunirsi di associarsi in partiti, di dibattere pubblicamente. Dunque, la democrazia contiene anche necessariamente dentro di sé i princìpi liberali. Inoltre, dal punto di vista storico, il democratismo è uno sviluppo del liberalismo, con cui per qualche tempo ha convissuto con frizioni. Ora, comunque, le democrazie sono parti di costruzioni politiche che si reggono su princìpi liberali, come la garanzia dei diritti, lo Stato di diritto, la separazione dei poteri, l’indipendenza dei giudici.