La lezione del capitano Crozier
Il comandante della Uss Roosevelt è stato sollevato dal suo incarico perché ha detto di non poter gestire la quarantena sulla nave. Le polemiche con Trump e la voglia di eroi
Se si dà un’occhiata a Wikipedia si scopre che la nave Uss Theodore Roosevelt è una portaerei tra le più importanti dell’arsenale americano. Un colosso da 333 metri capace di portare più di 5000 uomini e mezzi di ogni tipo, anche nucleari e che ha preso servizio in svariate operazioni militari, tra cui le due guerre del golfo, quella del Kosovo ed Enduring Freedom, nel 2001. Anzi, fu dal suo ponte che partì il primo attacco, il 4 ottobre del 2001. Bene.
Ma se si spulcia tra le cronache quotidiane dell’America ai tempi di Donald Trump e del coronavirus si scopre che la nave si trova al centro di un pasticcio politico costato, in meno di una settimana, la testa del suo comandante, Brett Crozier e quella del Segretario della Marina Thomas Modly.
La storia, presto detta, è questa. Lo scorso lunedì, mentre la nave è di stanza nel Pacifico occidentale, dalle parti del Mar della Cina, il comandante Crozier scrive una accorata lettera allo Stato Maggiore dicendo che sulla sua nave è arrivato il Covid-19 (preso probabilmente durante un passaggio in Vietnam) e che molti dei suoi 5000 uomini, forse più di 100 (spoiler alla fine saranno 270, Crozier incluso) sono malati. Crozier chiede ai suoi superiori di autorizzare lo sbarco nella base americana dell’isola di Guam, al largo del Giappone, perché la nave è inadatta a gestire una quarantena: non ci sono spazi.
Mentre la Marina decide sul da farsi, incerta tra la volontà di proteggere la salute dei militari e quella di tenere ferma la linea del presidente Trump che sostiene che non sia il caso di prendersela troppo per questa “influenza”, la lettera arriva, non si sa come (e probabilmente mai si saprà) al San Francisco Chronicle che, giustamente, la pubblica.
Il risultato è un putiferio: la Marina fa una misera figura e appare incapace o (peggio) non interessata a proteggere i suoi uomini e le condizioni dei militari suscitano grande preoccupazione ed empatia nell’opinione pubblica che ne chiede a gran voce lo sbarco.
As a veteran, this is absolutely unacceptable. My son is on this ship, sick and still working. If nothing is done, I fear many will die on board the Roosevelt. Remember, elections have consequences. #USSTheodoreRoosevelt#electionshaveconsequenceshttps://t.co/6S4cu3LAl7
— Al Robertson (@AlRobertsonTX03) April 1, 2020
Un tam tam di polemiche e appelli che si conclude mercoledì con la decisione di sbarcare tutti gli uomini (a parte pochi che devono rimanere di guardia alla nave) a Guam.
La storia sembra finita lì. Ma invece no. L’indomani il capitano Crozier viene sollevato dal suo incarico. La Marina, guidata dal segretario ad interim Thomas Modly, dice di non potersi più fidare di un uomo che ha mostrato così poca saldezza di nervi e così poco giudizio, che non ha esitato a scatenare il panico tra i suoi uomini e tra i civili e che ha scavalcato la catena di comando (la sua lettera è stata inviata a 20 destinatari in copia, e forse, insinuano, è stato proprio lui a farla avere al Chronicles). Così Crozier viene licenziato e fatto allontanare dalla nave.
La storia sembra finita lì. E invece no. Perché Crozier lascia sì la nave, ma lo fa tra gli applausi commossi dei suoi militari che lo acclamano come una specie di salvatore.
Non solo, ma gli stessi soldati si dimostrano molto (moltissimo) freddi con il segretario Modly, arrivato apposta con un volo di 18 ore per salutarli, fare loro un discorso di 15 minuti di orologio e tornare a Washington. Nel suo discorso, Modly, evidentemente poco lesto a fiutare l’aria, pronuncia parole di forte critica verso Crozier, definendolo “"troppo ingenuo o troppo stupido per essere un ufficiale in comando di una nave come questa”.
Una pessima idea ma poco male: la cosa sembra comunque finita lì. E invece no.
Modley, o chi lo ha incaricato di licenziare Crozier, non ha tenuto conto di quanto grande e grave sia la paura e la preoccupazione che si respira in giro per il Covid. E che nessuno, nemmeno un soldato, ha fretta di morire, specie per una malattia contagiosa da cui non lo si è saputo o voluto proteggere per tempo.
Così, nel giro di un weekend l’opinione pubblica, i militari e i civili, si sono schierati tutti contro Modley. L’hashtag #CrozierIsAHero ha preso a circolare e persino il pronipote di Theodore Roosevelt (cui la nave è intitolata), Tweed Roosevelt, ha pubblicato sul New York Times un editoriale nel quale loda l’ex comandante Crozier come un eroe.
E così, dopo aver retto per poco più di qualche giorno Modley, che ormai aveva tutti contro e a favore del quale né il segretario alla Difesa, Mark T. Esper, né il presidente mostravano di voler muovere un dito, si è dimesso. Non è un gran male, in fondo, visto che Modley era da soli tre mesi il fragile gestore di un interim arrivatogli tra capo e collo lo scorso novembre dopo che la volubilissima Casa Bianca aveva silurato il suo predecessore Richard Spencer che aveva avuto la ventura di essere in disaccordo con il presidente. Vulgata vuole che Modley si fosse ripromesso di non fare lo stesso errore e di seguire in tutto e per tutto i desideri di Trump che, a quanto riporta il Washington Post voleva che Crozier fosse sollevato dal suo incarico. Modley ha eseguito, sperando di fare cosa gradita al suo presidente, ma nemmeno questo, a quanto pare, è stato sufficiente.