(foto LaPresse)

Perché adesso i miliardari in Cina hanno paura del post coronavirus

Giulia Pompili

Dopo la pandemia, anche l’economia cinese potrebbe subìre un contraccolpo gigantesco, e Xi Jinping potrebbe essere disposto a mettere in campo tutte le opzioni. Anche quelle dell’esproprio

Roma. Quando un milionario cinese sparisce, gli altri si appuntano meglio la spilletta del Partito al bavero della giacca. Ren Zhiqiang, 68 anni, ex presidente della Huayuan Property Company, quasi un mese fa era sparito nel nulla e l’altro ieri la sezione di Pechino del Partito comunista cinese ha confermato: Ren è sotto indagine per “gravi violazioni delle norme disciplinari”, una formula volutamente vaga che di solito porta ad arbitrari provvedimenti. Ren Zhiqiang è un membro dell’élite del Partito comunista, gode di ottime relazioni, a seconda delle fonti viene descritto amico personale e forse addirittura pupillo del vicepresidente Wang Qishan (il “re filosofo” di Pechino, come lo definisce il Financial Times). Ma Ren è famoso soprattutto per le sue critiche esplicite contro la leadership del presidente Xi Jinping. La “grave violazione” di cui parla il Partito è quasi sicuramente un suo lungo articolo, circolato molto sui media cinesi a marzo, in cui raccontava la videoconferenza del Partito del 23 febbraio scorso. E’ la riunione in cui Xi – che Ren descrive e ridicolizza senza mai menzionarlo – ha parlato ai 170 mila funzionari e pronunciato un discorso che però, ed ecco la grave accusa secondo Ren, non parlava mai dell’emergenza virus: “Non c’era un imperatore che mostrava i suoi ‘nuovi vestiti’, ma un pagliaccio che si spogliava e continuava a insistere di essere un imperatore”. E poi: “Trattiene pezzi di un perizoma cercando di nascondere la sua nudità, e non nasconde la sua risoluta ambizione di diventare imperatore”.

 

Nel 2016, quando Xi domandò ai media di essere “più fedeli al Partito”, Ren Zhiqiang aveva scritto ai suoi 37 milioni di follower su Weibo, il social network di microblogging cinese: “Quand’è che il governo del popolo si è trasformato nel governo del Partito? I media sono finanziati con le quote associative del Partito?”. Per quel messaggio l’Amministrazione del cyberspazio cinese lo aveva bannato dai social, ed era stato messo sotto indagine dal Partito. Un anno dopo, commentando durante un evento pubblico del magazine Caijing le rigide regole dell’hukou, cioè il sistema di registrazione famigliare, aveva paragonato la Cina alla Corea del nord. Prima delle sparate contro il Partito qualcuno lo paragonava a Donald Trump per l’atteggiamento da spregiudicato businessman: nel 2010 durante un altro evento pubblico un ragazzo gli tirò le due scarpe, e lui proseguì ridendo, e dicendo che forse era solo uno che non poteva permettersi una casa. Ren è soprannominato da tempo “big cannon” perché è uno dei pochissimi milionari cinesi a criticare apertamente il Partito, e finora era stata probabilmente la sua amicizia con Wang Qishan a “salvarlo”.

 

Ren Zhiqiang è uno spregiudicato immobiliarista che ha fatto i soldi sfruttando il sistema capitalistico “con caratteristiche cinesi”, fatto di amicizie e corruzione: insomma, non è uno stinco di santo. Ma è il simbolo di una classe imprenditoriale che senza l’appartenenza al Partito può avere libertà d’impresa fino a un certo punto, di sicuro non fino a diventare milionari. E in questo sistema il critico Ren è una scheggia impazzita, un’anomalia: nessun imprenditore o capitano d’industria vuole rischiare di sparire per parlar male della leadership di Xi Jinping, cioè l’uomo che ha contribuito ad arricchirlo. E sul capitalismo cinese, poi, esiste sempre l’ombra dell’espropriazione da parte del Partito: dopo la pandemia, anche l’economia cinese potrebbe subìre un contraccolpo gigantesco, e Xi Jinping potrebbe essere disposto a mettere in campo tutte le opzioni. Anche quelle dell’esproprio. Secondo una fonte diplomatica del Foglio che preferisce rimanere anonima per la delicatezza della materia, molti uomini d’affari cinesi, anche fedelissimi, stanno cercando di mettere al sicuro alcuni risparmi, un piano B nel caso le cose si mettessero male nel dopo pandemia. Se il Partito dovesse voler indietro tutto, una casa in Thailandia comprata con un fondo offshore è l’unica garanzia.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.