Se smentisci Erdogan sul Covid, finisci in galera. L'ultimo giro della repressione turca
Giornalisti incarcerati, sindaci dell’opposizione destituiti, una legge di controllo delle conversazioni private e il caos al ministero dell’Interno
Istanbul. Il coronavirus e l’annuncio delle dimissioni del ministro dell’Interno turco, Süleyman Soylu, hanno fatto tremare il palazzo presidenziale di Ankara nelle due notti di coprifuoco del fine settimana appena trascorso, annunciato venerdì sera a meno di due ore dalla sua entrata in vigore per impedire alla popolazione di uscire di casa durante quello che si prevedeva come un fine settimana soleggiato.
Ma l’annuncio lanciato in fretta e senza le rassicurazioni necessarie ha provocato nelle trenta maggiori città della Turchia un assalto ai forni di manzoniana memoria di oltre 250 mila persone che si sono riversate fuori casa per fare provviste per il fine settimana, violando tutte le regole del distanziamento sociale. Le immagini e i video delle calche nei negozi di alimentari hanno fatto il giro del web e il ministro Soylu è stato costretto alle dimissioni probabilmente per anticipare la reazione del presidente, Recep Tayyip Erdoğgan che, informato, non avrebbe battuto ciglio.
In rete si sono scatenati i sostenitori della corrente di partito del ministro. Il suo account Twitter è stato sommerso da un milione di tweet che lo pregavano di non dimettersi, ma decisivo è stato l’intervento del leader del partito ultranazionalista (MHP), Devlet Bahçeli, indispensabile alleato del governo di Erdoğgan, che sostiene l’operato del ministro nella lotta al terrorismo e la politica repressiva adottata nei confronti degli oppositori e dei curdi.
Il presidente turco è stato quindi costretto a fare un passo indietro e a dichiarare che non avrebbe accettato le dimissioni. Soylu le ha ritirate, ma ciò evidenzia la faida interna al Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) che si trascina da tempo e che rischia di provocare una definitiva resa dei conti. Erano già pronti i nomi di coloro che avrebbero dovuto sostituire Soylu, in attesa vi era il governatore di Ankara, Vasip Sahin e il capo della polizia di Istanbul Mustafa Çaliskan, entrambi vicini alla corrente Pelikan di Berat Albayrak, genero di Erdogan e ministro delle Finanze, e di suo fratello maggiore, acerrimi avversari di Soylu, da tempo preso di mira da giornalisti di media vicini al presidente.
Era dal tempo del fallito golpe del 2016 che non accadeva che in soli dieci giorni due ministri fossero costretti alle dimissioni anche se in questo caso poi rientrate. Il 28 aprile era stato defenestrato il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Cahit Turhan. La faida all’interno dell’Akp si sta aggravando probabilmente in vista di un post Erdogan che sembra essere sempre meno lontano.
La pressione che il presidente turco incomincia ad avvertire lo costringe ad esercitare una repressione sempre maggiore e per questo gli è molto utile il ministro Soylu che gode del sostegno degli ultranazionalisti. La scorsa settimana il ministero dell’Interno aveva annunciato di aver identificato 616 sospettati di aver condiviso “messaggi falsi e provocatori sui social media sull’argomento coronavirus” e che 229 di essi erano stati arrestati. Tra gli utenti di Twitter arrestati nelle ultime settimane c’è anche il titolare di un popolare account noto come Ankara Kusu, accusato di terrorismo. Fatih Portakal, uno dei maggiori e più amati anchorman del paese, conduttore di Fox News, è l’ultimo di una lunghissima fila di giornalisti vittime della censura del governo, finito anch’egli sotto inchiesta per aver pubblicato un tweet con informazioni critiche sulla politica di Erdogan nella gestione dell’emergenza del Covid-19. E la stessa fine ha fatto anche Halk Aygun.
“L’acqua dormiva, ma il nemico no”, questo è un noto adagio turco con il quale il portale indipendente Gazete Düvar il 23 marzo commentava la notizia della defenestrazione degli ultimi otto sindaci curdi dell’Hdp, che porta il totale delle rimozioni a 40 nei 59 comuni amministrati da questo partito, sostituiti da amministratori fiduciari nominati dal governo. “La continuità nella repressione è essenziale nella strategia dello stato. Il coronavirus è per questo anche una benedizione!’’, scrive il giornalista Fehim Taştekin Gazete Düvar. Il rischio che la campagna di rimozione dei sindaci non sia circoscritta ai comuni curdi è diventato elevato in questa fase emergenziale per l’epidemia da Covid-19.
Tale pratica rischia di estendersi, seppur surrettiziamente, anche alle amministrazioni locali nei grandi centri urbani, gestite dalla maggiore forza politica di opposizione, dal Partito repubblicano del popolo (Chp), diventate bersaglio del governo. Solo pochi giorni fa Erdoğgan ha deciso di affidare la gestione della pandemia ai governatori delle 81 province turche. Questa decisione è vista da molti osservatori come un tentativo di esautorare i sindaci d’opposizione del loro potere già esiguo.
In Turchia il contagio da coronavirus si estende tra la popolazione, ma i giornalisti e gli oppositori devono difendersi da un altro virus, letale per la vita del diritto: dal primo marzo a oggi sono già 47 i giornalisti finiti sotto inchiesta per informazioni su Covid-19. Ora è in arrivo una legge che consentirebbe al governo di avere il pieno controllo anche delle conversazioni private e della messaggistica che avviene sulle applicazioni WhatsApp, Twitter, Facebook, Instagram e YouTube. Non è un caso se il modello tanto amato da Erdogğan sia quello cinese.
L'editoriale dell'elefantino