Contagio e impazienza
Proteste in America contro i governatori più rigorosi. La guerra culturale per la riapertura è appena cominciata
Milano. Si sono dati appuntamento davanti alla residenza del governatore a Lansing, Michigan, con le automobili, i cartelli, le armi e poche mascherine.. “Se perdi la libertà una volta la perdi per sempre”, “la sicurezza senza libertà si chiama prigione” erano gli slogan della “Operazione traffico”, la protesta di mercoledì contro le misure restrittive – restare a casa – introdotte dalle autorità per contenere il coronavirus che rischia di ottenere il risultato contrario, visto che si è trattato di un assembramento senza distanze di sicurezza e senza mascherine, luogo perfetto per il contagio. In Michigan ci saranno state centocinquanta persone che gridavano “non vogliamo ubbidirti” alla governatrice democratica, Gretchen Whitmer (che è anche nella rosa delle possibili vicepresidenti del candidato democratico alle presidenziali Joe Biden), più o meno come alle manifestazioni organizzate altrove negli ultimi giorni, soprattutto in stati a guida democratica – i clacson hanno interrotto il briefing quotidiano del governatore democratico del Kentucky, Andy Beshear – ma non solo: i cappellini rosso-Trump erano ben visibili tra i manifestanti che urlavano fuori dalla sala in cui il governatore dell’Ohio, Mike DeWine, stava ricordando che le misure restrittive saranno allentate soltanto quando i dati sanitari lo consentiranno. Il repubblicano DeWine è diventato il simbolo della resistenza del buon senso alle pretese confuse del presidente Donald Trump, uno dei pochi antidoti presenti nel Partito repubblicano.
La grande voglia di riaprire e ripartire sta creando una “cultural war” in America. Trump ha pronte le linee guida del governo, ma è impaziente e confuso e sta chiedendo ai governatori alleati di accelerare le riaperture mentre gli elettori trumpiani protestano contro le regole troppo rigide. Secondo molti commentatori lo scontro tra governatori cauti e cittadini impazienti è prossimo. E come spesso è accaduto in passato, alcuni media lo stanno fomentando.
L’elenco è più o meno lo stesso di sempre: un volto noto di Fox News, in questo caso Laura Ingraham, denuncia gli esperti e benedice il diritto a protestare per tornare a lavorare, “è tempo di riprenderci le nostre libertà”. Fox News, che pure ora deve condividere il cuore del presidente volubile con un altro network minorissimo, One America News, ha fatto una copertura continuata delle proteste pro riapertura in tutto il paese con il titolo: non vogliamo uno stato-babysitter. La libertà da riconquistare contro l’autoritarismo di governatori liberticidi (c’è anche la Whitmer con i baffetti neri nelle immagini che circolano online) è il ritornello di molte iniziative del mondo trumpiano: un anchorman di Infowars guiderà una protesta in Texas oggi o domani contro “le leggi marziali” in cui sembra di essere immersi mentre ormai ai governatori più responsabili e cauti viene affiancato il termine “tiranno”. A sostenere questo fronte è arrivato anche Richard Grenell, il capo di tutte le agenzie di intelligence americane nonché ambasciatore americano in Germania e inviato speciale del presidente per i negoziati tra Serbia e Kosovo. Grenell ha condiviso su Instagram una foto della Costituzione americana con la scritta: “Permesso firmato per uscire di casa” commentando: “Love this!”. Il messaggio di Grenell contraddice quel che le agenzie del governo – comprese quelle che dipendono da lui – stanno ripetendo e cioè che salute e sicurezza sono strettamente legate, e possono essere garantite soltanto se i cittadini stanno il più possibile a casa.
A fine marzo, McKay Coppins aveva pubblicato sull’Atlantic un articolo dal titolo: “La guerra culturale sulla distanza sociale è appena cominciata”. Coppins, che è anche autore di un libro sul Partito repubblicano, raccontava che le regole imposte dal coronavirus come atto di salute pubblica stavano trasformandosi in “atti politici”: le conseguenze “potrebbero essere disastrose”. Intervistato ieri dalla Cnn, Coppins ha detto: “Pensavo di evidenziare un fenomeno di nicchia, oggi non mi sembra più così”. L’impazienza di Trump sta diventando il fattore determinante della riapertura, e questo è un problema. Se n’è accorto anche Jason Miller, ex consigliere per la comunicazione del presidente che da settimane conduce uno show radiofonico quotidiano, “War Room: Pandemic”, assieme a Steve Bannon e a Raheem Kassam, che è stato direttore dell’edizione britannica di Breitbart. Miller dice che chi incoraggia i cittadini a violare le misure anti pandemia è “alla periferia delle voci più appropriate sul tema”. Ovvio che tutti hanno voglia di riaprire, dice Miller, ma “non si può essere sciatti o distratti”, men che meno impazienti.