Negli ultimi giorni, nella stampa internazionale si parla di un presunto “caso portoghese”: di una gestione sorprendentemente efficace dell’attuale emergenza. Come spesso succede, è bene moderare i toni. Il Portogallo ha probabilmente goduto del confronto con altri paesi dell’Europa meridionale e soprattutto con la vicina Spagna. E’ stato giustamente sottolineato, tra l’altro su questo giornale da Luciano Capone, come una parte del temporaneo e relativo successo portoghese sia dovuto anzitutto alla consapevolezza delle proprie fragilità, condivisa inizialmente forse più dalla società che dalle istituzioni portoghesi. Non è mancato poi chi abbia visto nell’attuale situazione portoghese, senz’altro meno drammatica di quella spagnola ma di certo non tra le migliori, l’influenza di variabili indipendenti dall’azione governativa: il caso (l’esplosione ritardata della pandemia) o il contesto (la scarsa densità della popolazione, alcuni elementi di scarso sviluppo sociale). La fortuna, però, diceva Machiavelli, governa le nostre azioni per metà o poco più. Il resto, dipende dalla virtù. Forse per questo, due decisioni prese dal Parlamento e dal governo portoghese, che si possono definire virtuose, hanno particolarmente attirato l’attenzione della stampa italiana. Soprattutto perché affrontano due problemi comuni ai due paesi e sui quali anche in questo caso il dibattito italiano, come puntualmente accade, si è avvitato su se stesso: il sovraffollamento carcerario e la condizione degli immigrati. Il fatto che tanta attenzione sia stata suscitata da due decisioni tutto sommato pragmatiche dice più della situazione italiana che di quella portoghese.
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