Virus free-zone
E’ possibile estirpare il Covid invece di prepararsi al prossimo picco? Il caso neozelandese e il dilemma dei confini
Milano. Cosa succede quando entri nella fase due, aspetti il nuovo picco o provi a estirpare del tutto il Covid? La Nuova Zelanda, terra isolana e remota con una manciata di abitanti (5 milioni, 18 per chilometro quadrato), prova la seconda strada, ancora inesplorata. Facile, direte voi, se non ci provano loro, chi? La premier, Jacinda Ardern, è diventata la star globale della lotta alla pandemia, tutti guardano verso di lei come alla rappresentante del buon senso al governo, donna per di più, un buon modo per celebrare femmine senza sforzo (riaprire le scuole sarebbe ben più utile), ma sotto sotto, sempre per via del fatto che la Nuova Zelanda ha quelle caratteristiche, resta l’idea: lì è facile. In realtà la leadership non si misura su quante persone governi, ma su come la eserciti: la Ardern è stata tempestiva, molto chiara nelle regole da rispettare, non ideologica con gli stimoli economici (un mix di spese e tagli alle tasse) e premurosa, “siate forti, siate uniti, siate gentili”. E’ questo che si ammira della premier laburista, e il fatto che la sua strategia è stata efficace. Ora che il tasso di trasmissione è sotto la soglia della pericolosità e di fatto la curva del contagio è piatta, la Ardern si spinge più in là, in un azzardo: perché la ripartenza deve essere per forza una danza fuori e dentro l’isolamento? “La cosa peggiore che possiamo fare per il nostro paese – ha detto la Ardern – è uno yo-yo tra i vari livelli di lockdown”. E’ il sogno della “soppressione aggressiva”, come la chiamano in Australia, un altro paese con un percorso virtuoso dentro alla pandemia che oggi, oltre a festeggiare il ritorno della libertà di fare surf (era tra i divieti), ambisce a creare un format da seguire dalla fase due in poi. La Ardern vorrebbe che la Nuova Zelanda diventasse una “virus-free zone”, ma se il caso neozelandese ha peculiarità non ripetibili altrove (terra isolana e disabitata), alcuni temi in discussione riguardano altri paesi virtuosi della regione, e pure l’occidente che ancora deve capire come si fa a eliminare gli orari di punta. Sui test e il tracciamento del virus, si è già detto molto: come dice Bill Gates, per combattere il Covid-19 è necessario sapere dov’è. Un altro argomento rilevante di dibattito è quello sui confini.
La Corea del sud, ammirata in occidente, accetta stranieri e li mette in quarantena per 14 giorni. Alcuni, soprattutto quelli che arrivano per lavoro e stanno poco tempo, possono evitare la quarantena, ma devono rispondere quando gli operatori sanitari telefonano e registrare ogni eventuale sintomo in una app apposita. A Taiwan, un altro paese che vorrebbe evitare lo yo-yo, valgono più o meno le stesse regole dei sudcoreani. La Ardern sta valutando di chiudere i confini totalmente, per un anno: sigillare il paese è l’unico modo per evitare nuove ondate, il piano di eliminazione del virus che davvero funziona. Ma a che costo? Non si torna alla normalità. Il turismo assente farebbe perdere 100 mila posti di lavoro e il 5 per cento del pil; i braccianti (spesso studenti che arrotondano) che arrivano a raccogliere uva e mele non ci sarebbero e difficilmente i neozelandesi di città vorrebbero fare questo lavoro. Gli esportatori poi sono già in difficoltà perché non ci sono sufficienti aerei da trasporto merci. L’autarchia insomma ha un costo molto elevato anche per un paese che un pochino autarchico lo è di natura. L’incognita resta per tutti, sognatori e danzatori, una: quanto è sconvolgente il secondo picco.
Cosa c'è in gioco