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Le divisioni dell'Europa sulla Cina mettono in crisi il post pandemia

Giulia Pompili

Un report sulla “propaganda e la disinformazione cinese” del Servizio europeo per l’azione esterna è circolato e poi è stato edulcorato. Pressioni cinesi o no, una diplomazia dell’Unione coerente e condivisa adesso è più urgente

Roma. Non stiamo abbassando la testa davanti ad alcuna pressione esterna, ha detto ieri Peter Stano, portavoce della Politica estera europea. Ma è ormai chiaro che qualcosa è successo la scorsa settimana tra i funzionari di Bruxelles e quelli cinesi. La questione è stata sollevata da vari giornali internazionali, quando un report sullapropaganda e la disinformazione cinese”, preparato dagli analisti del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas) e che usava toni piuttosto duri contro il governo di Pechino, è stato fatto sparire e al suo posto ne è stato pubblicato uno con toni molto più indulgenti. Il problema è che la prima versione era ormai arrivata ai giornali, che ne hanno parlato, e lo hanno citato: “La Cina continua a condurre una campagna di disinformazione globale per cancellare la colpa dell’origine della pandemia e migliorare la sua immagine internazionale. Sono state rilevate operazioni segrete ed esplicite”, si leggeva nella prima versione del rapporto visionata da Politico. Dopo alcuni giorni di incomprensibili rinvii, lo studio è stato messo online lo scorso 24 aprile. Nella seconda versione la frase è diluita in un periodo più generico: “Sono proliferate fake news, disinformazione e altre forme di manipolazione e distorsione. Nonostante il potenziale impatto sui cittadini, funzionari e fonti governative di vari paesi, Russia e – in misura minore – Cina, hanno continuato a usare la narrativa del complottismo e della disinformazione”. Secondo diverse fonti di Politico, ma anche del New York Times e di Reuters, dopo aver visto la prima versione del report la missione cinese a Bruxelles avrebbe protestato e avrebbe addirittura tentato di bloccare la pubblicazione.

 

Ieri l’eurodeputato olandese del Renew Europe Bart Groothuis ha scritto una lettera all’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, per avere chiarimenti su questo cambio di posizione, ma sono soprattutto gli eurodeputati del Partito popolare, come la lettone Sandra Kalniete, a chiedere all’Europa di fare fronte unito e mettersi al sicuro da certe “intimidazioni”. La suscettibilità dell’Eeas sulla questione “pressioni cinesi” è notevole: il portavoce Peter Stano ha praticamente etichettato come “fake news” tutti gli articoli usciti sulla questione. Ma il problema resta, e riguarda la politica estera europea nel suo rapporto con la Cina.

  

Con l’emergenza coronavirus si è vista chiaramente la differenza tra i paesi che non hanno idea di come trattare con la Cina e quelli che invece lavorano su due fronti: quello commerciale e quello diplomatico. Il presidente francese Emmanuel Macron, l’unico a porre sempre la questione dei diritti umani con la Cina, ha detto di aspettarsi trasparenza da Pechino, una volta che sarà passata l’emergenza. Così hanno fatto anche i ministri degli Esteri di Londra e Berlino. Luigi Di Maio invece ha lasciato che l’Italia diventasse il terreno della propaganda di Pechino, senza mai usare una parola per richiamare la Cina alla trasparenza e alla responsabilità. Ognuno ha la sua politica con Pechino, che indebolisce però quella europea su tutti i fronti.

  

Alla fine dell’emergenza causata dalla pandemia, lo scontro tra America e Cina potrebbe arrivare a un livello inedito. Il coronavirus non ha fatto che rafforzare la leadership di Xi Jinping, e con lui il suo Sogno cinese di influenza globale. Dall’altro capo dell’oceano, l’America di Donald Trump si trova in una posizione transitoria, con una campagna elettorale in cui anche il candidato democratico Joe Biden sta cercando di essere più anticinese di Trump. In mezzo allo scontro tra le due prime economie, spiegano gli analisti, in Europa non può esserci spazio per rapporti diplomatici bilaterali con Pechino. Perché il bilateralismo è ciò a cui aspira anche la Cina, che è forte con i più piccoli ma tratta con rispetto chi gli è pari. E la politica estera di Bruxelles avrà bisogno di prepararsi al futuro.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.