Che impatto ha il Covid sulle missioni nel Mediterraneo? Ce lo spiega l'amm. De Giorgi
Per ora la Marina Militare italiana regge l'urto dell'epidemia ma è messa a dura prova dall'operazione Irini
Roma. Da anni nel Mediterraneo non si assisteva a tanto movimento: il lancio di una missione navale europea, il flusso di migranti, il traffico di armi verso la Libia, le provocazioni tra Grecia e Turchia. E a complicare il tutto si è messa anche l’epidemia di Covid-19. Oltre al caso della portaerei americana Theodore Roosvelt, l’impatto del coronavirus sull’operatività delle marine militari non è stato uguale in tutta Europa. In Francia, il 60 per cento dell’equipaggio della nave ammiraglia Charles de Gaulle è rimasto contagiato, con un grave danno operativo e di immagine; in Italia invece i casi riscontrati sono stati meno eclatanti. Alle due navi anfibie San Giorgio e San Giusto, finite in quarantena a Brindisi il mese scorso, si è aggiunta due giorni fa Fregata Margottini, ferma al porto di La Spezia con tre membri dell’equipaggio positivi al virus. Non c’è nessun pericolo, ha fatto sapere la Marina militare italiana: “Sono stati attuati tutti i controlli preventivi previsti dal protocollo sanitario per le navi e i sommergibili destinati a condurre operazioni fuori area e volti a garantire la massima tutela possibile degli equipaggi”. Il protocollo prevede che prima di ogni operazione l’equipaggio delle navi sia sottoposto al tampone. Se qualcuno è positivo si resta fermi in quarantena per due settimane. Finora, su circa 16 mila componenti della squadra navale italiana, gli infetti sono stati appena una ventina.
I numeri sono promettenti e finora nessuna unità ha dovuto interrompere la sua missione, ma è inevitabile che la loro operatività possa risentire dei ritardi imposti dalla pandemia. “Prima di allontanarsi dalle coste italiane e di andare in zone operative, ogni nave resta sotto osservazione per due settimane – spiega al Foglio l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, dal 2013 al 2016 capo di stato maggiore della Marina – E’ innegabile che la minaccia del Covid-19 rappresenti una sfida particolare, proprio per gli spazi ristretti tipici delle navi militari”.
Ma se dalle Forze armate arrivano rassicurazioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria, fonti diplomatiche citano al Foglio proprio il Covid-19 tra le cause principali dei ritardi accumulati dall’Ue per rendere operativa la missione aeronavale Irini. Dal 1° aprile scorso, alcuni stati volenterosi avrebbero dovuto mettere a disposizione navi e aerei per vigilare sull’embargo delle armi in Libia imposto dall’Onu nel 2011. Soltanto ieri è arrivato il via libera, sebbene non siano ancora stati comunicati alla stampa i dettagli su chi metterà a disposizione cosa: “Malgrado il contesto difficile l’operazione è operativa da ora”, ha annunciato mercoledì Peter Stano, portavoce di Josep Borrell, Alto rappresentate della politica estera dell’Ue. Laddove per “contesto difficile” si intende l’epidemia in corso. Ssecondo l’ammiraglio De Giorgi però il coronavirus c’entra poco con i ritardi dell’Ue: “La debolezza di Irini è prima di tutto politica e riflette la debolezza e la mancanza di unità d’intenti fra le nazioni europee – dice – Sotto il profilo tecnico operativo, la proibizione a pattugliare le acque territoriali o lo spazio aereo libici pregiudicheranno la sua capacità effettiva di attuare l’embargo”.
Ma non c’è solo la Libia. Più a est, Grecia e Turchia si fronteggiano con provocazioni continue e pericolose. La settimana scorsa un paio di caccia turchi hanno violato lo spazio aereo greco sul Mare Egeo. Prima gli F16 hanno sorvolato l’isola di Farmakonisi e poi sono passati a bassa quota sopra Agathonisi, due isolotti molto più vicini alla costa turca che a quella greca e su cui Ankara rivendica da anni la sua sovranità. Abile come sempre a giocare con il sentimento nazionalista, lo scorso settembre il presidente Recep Tayyip Erdogan si è fatto fotografare in posa con alle spalle una mappa rivisitata dell’Anatolia su cui spiccava una scritta in turco – “Mavi Vatan”, che letteralmente significa “patria blu” – e in cui molte isole greche sono incluse tra le terre controllate dalla Turchia. Anche una missione militare turca che è già in corso e che terminerà il prossimo 3 maggio è stata denominata “Mavi Vatan”. Secondo i media greci, si tratta di una provocazione di Ankara, che rivendica unilateralmente i giacimenti di gas a sud di Creta. “Dopo 50 anni di ‘pax americana’ il Mediterraneo è tornato uno spazio turbolento e di confronto fra potenze – dice De Giorgi – Irini contribuirà ad aumentare le occasioni di confronto diretto con la Turchia e l’Italia si troverà in prima fila, visto che ha ottenuto il comando dell’operazione. Speriamo solo che le regole d’ingaggio approvate dall’Ue siano robuste a sufficienza per gestire tempestivamente l’uso della forza – conclude De Giorgi – anche a tutela della sicurezza delle nostre navi”.
Cosa c'è in gioco