Il Bristol Hotel di Beirut ha chiuso
La capitale del Libano raccontata attraverso i suoi alberghi, in particolare uno che non si era fermato nella guerra civile, ma ora sì
Gli alberghi di Beirut hanno raccontato e raccontano ancora oggi la storia della città. E la chiusura del Bristol Hotel, simbolo di una belle époque ormai lontana, fotografa con dolorosa precisione la discesa del Libano nel caos della crisi economica. E la ripresa delle proteste.
La terrazza affacciata sul Mar Mediterraneo dell'iconico hotel Saint Georges è il simbolo di un'epoca in cui il Libano attirava il meglio del jet set internazionale, da Elizabeth Taylor a Richard Burton alla diva della canzone egiziana Oum Kalthoum. Al vicino Phoenicia, dove soggiornarono tra gli altri Brigitte Bardot e Omar Sharif, nel 1962 si esibì un'altra stella della musica araba e regina in Libano: Fayrouz. Le cronache e le leggende narrano che al balcone del bar del Saint Georges si incontrassero spie e organizzassero complotti regionali. La battaglia legale, terminata poche settimane fa e durata anni, tra i proprietari e la municipalità per la riapertura e ristrutturazione dell'albergo – in disuso dalla guerra civile – è invece la cronaca di una bulimia immobiliare che ha cambiato la faccia delle città. Non lontano da quell'edificio rosa con l'intonaco scrostato, sorge un grattacielo di 26 piani in rovina, crivellato di colpi di armi da fuoco e artiglieria. L'Holiday Inn è rimasto aperto soltanto un anno, tra il 1974 e l'inizio della guerra nel 1975, prima di diventare ambito obiettivo di miliziani e gruppi armati lungo il fronte di un conflitto settario.
(Hotel Saint George a Beirut)
L'Hotel Commodore di Hamra, a poca distanza, era già allora rifugio della stampa internazionale, spedita nel Levante per seguire la discesa negli abissi del piccolo paese. A quei 15 anni di guerra ha resistito anche un altro albergo leggendario di Beirut. Il Bristol Hotel, con il suo angolo arrotondato tra due vie che si intersecano, sorge nell'affollato quartiere di Verdun. Inaugurato nel 1951, decorato dal designer di interni francese Jean Royère, racconta il Libano di una stagione d'oro passata: la sua prestigiosa sala da ballo ha visto matrimoni, cerimonie, feste di tutte le più importanti famiglie del paese. E l'albergo ha anche dato al Libano la sua prima pista di pattinaggio sul ghiaccio. Come il Saint Georges, anche il Bristol ha la sua lunga lista di ospiti d'eccellenza: lo shah di Persia Reza Pahlavi, la consorte x, Alberto di Monaco e Jacques Chirac, il poeta siriano Nizar Qabbani. E i giornalisti dei giorni di conflitto.
(Bristol Hotel a Beirut)
Quello che non ha potuto la guerra civile ha potuto una crisi economica scoppiata in autunno, all'origine della rivolta popolare di ottobre, e la diffusione del coronavirus. L'hotel, già in crisi per le poche prenotazioni invernali, ha messo fine alla sua attività il 15 marzo, dopo che l'emergenza sanitaria ha interrotto i voli in entrata e in uscita dal paese, dando l'ultimo colpo al turismo. Chiusi il suo ristorante, dove cucinava uno dei migliori chef del paese, la sala da ballo con gli echi di feste di un'altra epoca, inscatolati i servizi di porcellana e le posate d'argento, la gestione dell'hotel ha dichiarato di non poter andare oltre. “La chiusura del Bristol rappresenta la situazione di tutto il Libano, il crollo di tutta la sua economia”, ci dice al telefono da Beirut Lina Hamdan, candidata alle elezioni del 2018, attivista di lunga data e tra le organizzatrici della piazza di ottobre.
Le misure di isolamento, l'interruzione dell'attività di commerci e aziende e l'arresto di un'economia che si basa molto sul turismo e tanto su lavoratori stagionali o pagati alla giornata hanno peggiorato una situazione già al collasso. Così, lunedì e martedì notte, dopo mesi di arresto delle proteste, centinaia di persone sono scese in strada in Libano contro le restrizioni sul lavoro, contro un governo, nuovo ma ancora legato agli antichi partiti, che non trova soluzioni valide alla crisi economico-finanziaria. E che è percepito come parte del problema, all'origine di ogni corruzione.
(Bristol Hotel oggi)
Il tasso di disoccupazione è al 25 per cento, secondo dati ministeriali già invecchiati. Le rendite della popolazione si sono abbassate della metà, il potere di acquisto di almeno il 50 per cento, ci spiega Toufic Gaspard, economista ed ex consigliere del ministero delle Finanze libanese. La lira è crollata del 50 per cento in sei mesi. La condizione economica oggi rispetto a qualche mese fa “è ancora più grave, non soltanto a causa del crollo dei tassi di cambio, ma per il collasso del sistema bancario. Oggi le persone hanno accesso ai loro risparmi soltanto con il contagocce”. In Libano da diversi mesi non è possibile ritirare in dollari e c'è un tetto settimanale sulle somme in valuta locale. Più dei due terzi dei risparmi, spiega Gaspard, sono in dollari, ma la popolazione non ha più accesso alla moneta estera. Se sul mercato nero un dollaro vale 3.000 lire libanesi, in banca 1.500. Tutto questo si riflette sui prezzi nei supermercati. È una crisi economica senza precedenti dalla fine della guerra civile, e “le autorità non sanno che cosa fare. Hanno da poco pubblicato un piano per la ripresa, preparato assieme a consulenti internazionali. Prevede un progetto di riforme vasto, come chiedono da tempo la comunità internazionale, i paesi arabi, il Fondo monetario in cambio di aiuti. È necessario agire in questa direzione nei prossimi mesi, altrimenti la violenza nelle strade aumenterà. Questa crisi contro l'autorità e contro le banche, contro i partiti è un terremoto per il Libano”.
Cosa c'è in gioco