Il falco anticinese di Trump fa un gran discorso sulla democrazia in Cina (in mandarino)
Matthew Pottinger, viceconsigliere per la sicurezza nazionale di Trump, ha raccontato "ai cinesi" l’altra faccia del Movimento del 4 maggio e i suoi protagonisti, paragonandoli agli “eroi contemporanei” della trasparenza
Roma. Per la prima volta nella storia della politica americana un alto funzionario della Casa Bianca partecipa a un evento pubblico parlando in mandarino perfetto, e quindi rivolgendosi direttamente al pubblico cinese. Matthew Pottinger, 46 anni, è il viceconsigliere per la Sicurezza nazionale di Donald Trump, ed è l’uomo che suggerisce la linea politica contro Pechino del presidente americano. Pottinger conosce molto bene la Cina: è laureato in Cinese, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila è stato corrispondente di Reuters e del Wall Street Journal dal paese, ha coperto la crisi dell’epidemia di Sars, ha denunciato di essere stato sorvegliato e seguito dai funzionari cinesi che volevano saperne di più delle sue fonti e delle sue inchieste. Poi si è arruolato nei Marine. Pottinger è intervenuto ieri a un evento del Miller Center dell’Università della Virginia, organizzato il 4 maggio, e cioè nell’anniversario della nascita di un importante Movimento culturale in Cina, il Wusi. E’ il giorno in cui circa tremila studenti delle tredici università di Pechino scesero in piazza Tian’anmen per protestare contro quella che credevano fosse la debolezza diplomatica della Cina sul tavolo internazionale post Prima guerra mondiale. Le proteste divennero disordini, agli studenti si unirono gli operai, le manifestazioni di piazza divennero un vero Movimento che portò, due anni dopo, alla nascita del Partito comunista cinese. La Cina contemporanea, quella del Sogno cinese del presidente Xi Jinping, celebra il Movimento del 4 maggio (non può non farlo) ma seleziona alcuni dei suoi principi ispiratori, quelli più patriottici, e ne tralascia altri, per esempio quelli di una richiesta di occidentalizzazione, di una progressiva democratizzazione (intesa come condivisione dello spazio pubblico).
Nel suo discorso di ieri Pottinger ha raccontato “ai cinesi” l’altra faccia del Movimento del 4 maggio e i suoi protagonisti, come Hu Shih e P.C. Chang, e li ha paragonati agli “eroi contemporanei” della trasparenza, come il dottor Li Wenliang. Non è soltanto un intervento colto e uno sfoggio linguistico. E’ un messaggio. Jeremy Goldkorn, direttore di SupChina, ha scritto su Twitter: “Bel discorso, ma temo confermerà le peggiori paure del Partito comunista sul fatto che gli Stati Uniti sono inclini al regime change”. Pottinger usa spesso la parola democrazia della quale si discute moltissimo (specialmente della sua applicazione in Cina), e pronuncia un discorso meno aggressivo di quel che ci si aspetterebbe da un falco anticinese – un discorso alla Obama o alla Clinton, per intenderci. Il contesto però è “pericoloso”, come ha scritto l’influente analista Bill Bishop: da una parte, Trump e Pompeo accusano la Cina di aver provocato l’epidemia con il laboratorio di Wuhan, dall’altra un alto funzionario si rivolge direttamente ai cinesi usando un anniversario importante per parlare di democrazia e in modo velato di regime change. E’ un gioco delle parti. Del resto, Pottinger ha un’idea molto precisa della Cina. Si legge in un articolo di David Nakamura, Carol D. Leonnig e Ellen Nakashima sul Washington Post: “Crede che la gestione del virus da parte di Pechino sia stata ‘catastrofica’ e che ‘il mondo intero è un danno collaterale dei problemi di governance interna della Cina’”. In privato, Pottinger “descrive Xi Jinping come l’autore di una virata del sistema autoritario cinese verso un ‘totalitarismo’ ancor più pericoloso, che cerca di mettere in pratica una sorveglianza di tipo orwelliana sulla maggior parte degli aspetti della società”.
Alla fine dell’intervento di ieri Pottinger dice che alla Cina serve meno nazionalismo e più populismo (rischiando però di dimostrare che tra il populismo e il comunismo non c’è molta differenza). Quella che viene definita la “wolf warrior diplomacy” – il nome si ispira a un film omonimo cinese del 2015 – è un tipo di comunicazione aggressiva, soprattutto online, da parte dei funzionari diplomatici cinesi che negli ultimi anni sono sempre più attivi nel cercare di far passare i messaggi di Pechino. Ma è la stessa comunicazione che la Casa Bianca di Trump ha iniziato a usare contro la Cina. E così il discorso di Pottinger – al di là della retorica sulla democrazia, ancora oggi difficilmente applicabile a un sistema complesso come quello cinese, e all’ipotesi di un regime change nella seconda economia del mondo nel mezzo di una pandemia: a dir poco pericoloso – ha l’effetto benefico di tornare a un dialogo quasi normalizzato. E ci ricorda i motivi per cui l’America (e Hong Kong, e Taiwan) sono così importanti per l’occidente.