Donald Trump parla con i giornalisti prima di partire per l'Arizona (foto Susan Walsh/Ap)

Gli atti da brividi del friabile Trump

Giuliano Ferrara

Il capro cinese e i guai del MAGA: indizi per prepararci al peggio

Dopo la minimizzazione, dopo l’attacco ai governatori, dopo la delegittimazione dell’Oms, dopo il fiancheggiamento del movimento di liberazione dal lockdown, Trump ha offerto il boccone grosso della sua ostentata, viziosa campagna di propaganda a scopo elettorale: la Cina. Ora fa fuori Fauci e la sua task force, o la mette di lato mentre gli Stati Uniti viaggiano verso i centomila morti e oltre, perché la comunità scientifica internazionale non crede all’errore di laboratorio di Wuhan e sfugge al suo controllo manipolatorio. Dopo le purghe a ripetizione dei mesi e degli anni scorsi, compreso il nucleo dell’intelligence fedele alle istituzioni e non a chi le rappresenta pro tempore come il capo di una cricca, altre purghe verranno, verranno altre grazie presidenziali per cercare di smaltire lo sterco accumulato in anni di banditismo politico (affaire Ucraina compresa). Ma nella ricerca del capro espiatorio utile a rivincere le elezioni presidenziali, facendosi scontare la pazza gestione della crisi da showrunner del caos, Trump ha un alleato importante: il capro, cioè la Cina. La pandemia si è originata lì, il regime a partito unico è l’opposto della trasparenza, lo straccio rosso del paese ibrido, comunista e capitalista, ha già in parte funzionato nelle guerre commerciali neoprotezionistiche.

 

Ora che la recessione americana e l’incipiente ondata di disoccupazione di massa offuscano i brillanti risultati della defiscalizzazione e della deregolamentazione drogate dell’economia americana, e scompone il blocco di alleanze sociali che il trumpismo aveva costruito con slancio predatorio, la Cina assassina torna buona per una colossale operazione di distrazione mentale e di riorientamento di un’opinione pubblica confusa e inquieta.

 

Ne vedremo delle belle, crescerà l’instabilità politica per grandi aree nel mondo, e fino a novembre, posto che non ci siano sorprese per una data elettorale scritta nella Costituzione cartacea più antica del mondo, il gran ballo trumpiano minaccia di essere spettacolare, drammatico, e forse tragico nella sua imprevedibilità. Trump non è un Salvini qualunque. Il presidente americano resta una bocca di fuoco potente, spara a tutte le latitudini e longitudini, ricorre alle risorse immense del potere esecutivo imperiale dopo essere riuscito, con il voto del Senato contro l’impeachment decretato dalla Camera dei rappresentanti, dopo il sabotaggio delle testimonianze giurate, dopo le vendette contro i funzionari corretti e leali all’amministrazione e al Congresso, a indebolire fatalmente attraverso la disciplina di partito e la convenienza partigiana la divisione dei poteri.

Eppure in tutto questo progetto fondato su forzature di ogni genere e sul ricatto politico al quale non si è potuta sottrarre la classe dirigente del Grand Old Party, ci sono elementi di grande friabilità. L’uomo appare elettoralmente più forte di Biden o di qualunque altro avversario, malgrado sondaggi che oggi lo sottostimano, ma non più forte della crisi recessiva dell’economia e delle sue conseguenze. Il grandioso show televisivo e socialmediatico all’insegna della caccia alle élite ha nei risultati effettivi del governo MAGA (Make America Great Again) un punto di caduta e di rovesciamento che Trump conosce bene. A un certo punto competenza, moderazione, senso delle istituzioni potrebbero tornare a essere criteri apprezzati e decisivi anche nel conteggio dei voti nel collegio elettorale, e la demagogia sfrenata potrebbe ritorcersi contro il suo banditore in tempi rapidissimi. Trenta milioni di disoccupati non sono uno scherzo, e il corso dell’epidemia può generare nuovi problemi incandescenti. E’ per questo che la Casa Bianca farà di tutto, oltre la stessa campagna anticinese, per raddrizzare con argomenti e atti da brivido la popolarità del suo titolare e dei suoi famigli “whatever it takes”, a qualunque costo. Sarà opportuno prepararsi al peggio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.