La Brexit peserà di più sul futuro della geopolitica che dell'economia
Scordiamoci la permanenza del Regno Unito nel mercato unico europeo. Ma una soluzione per non indebolire l’occidente c’è
Si è aperto lunedì il quarto round negoziale tra Regno Unito e Unione Europea per provare a definire i termini della nuova relazione bilaterale, all’indomani della separazione de iure di Londra da Bruxelles. Attenzione, non chiamatela più Brexit: secondo il Governo di Boris Johnson questa infatti è stata compiuta il 31 gennaio, da ora in poi va definita “Future Relationship”. Al di là di formule e slogan, sembra sempre più probabile che il periodo transitorio – in scadenza il 31 dicembre – terminerà senza il raggiungimento di un accordo di libero scambio soddisfacente per entrambe le parti. Cosa accadrà dunque quando il divorzio della Gran Bretagna dal resto d’Europa sarà tale anche de facto? Le conseguenze economiche di breve-medio periodo saranno negative per entrambe le sponde della Manica, anche se probabilmente gestibili dopo il necessario assestamento, a patto che si riescano a trovare dei meccanismi per ridurre le barriere non tariffarie.
Al di là di dazi e procedure doganali – a mio avviso niente di insuperabile con un’adeguata e tempestiva preparazione delle imprese esportatrici, specialmente le più piccole – ciò che dovrebbe preoccupare maggiormente i leader occidentali sono le ricadute di carattere geopolitico. In un mondo che, anche per effetto della pandemia ancora in atto, rischia di diventare sempre più frammentato, l’assenza di un accordo politico – ancor prima che commerciale – tra Londra e Bruxelles sarebbe molto grave non solo per l’Europa, ma per l’intero occidente. Una Gran Bretagna “isolata” sarebbe la “cartina di tornasole” di un mondo nel quale le differenze e le fratture si stanno allargando. Da una parte, stiamo assistendo ai prodromi di una nuova “guerra fredda” tra gli Stati Uniti di Trump – entrato ormai in modalità elettorale – e la Cina, con i grandi trend globali che saranno sempre più definiti dalla relazione tra Washington e Pechino e dall’influenza crescente delle grandi multinazionali del settore ICT. Dall’altra, andiamo verso una progressiva regionalizzazione di conflitti locali con l’emergere del ruolo di medie potenze come Iran, Israele, Arabia Saudita, Turchia e Russia. In uno scenario del genere, gli spazi per un’Europa “monca” di una potenza militare come il Regno Unito sarebbe un vulnus difficilmente rimarginabile. La necessità di non abbandonare Londra alla deriva è dunque dettata dall’esigenza per l’occidente di non perdere la propria forza e identità.
Un accordo con l’UE su temi e valori fondamentali quali sicurezza, libertà economica, rispetto della democrazia e dei diritti umani, sarebbe il punto di partenza per la costruzione di un ponte che si potrebbe prolungare più facilmente anche verso l’altra sponda dell’Atlantico. Un Regno Unito ancorato al continente darebbe all’UE apertura e una vocazione atlantica che non potrebbe essere garantita se il potere fosse sbilanciato solo attorno all’asse franco-tedesco. Scordiamoci una permanenza del Regno Unito nel mercato unico europeo. Il punto non è questo, ma la possibilità di un’armonizzazione e di un nuovo rapporto basato su valori condivisi. L’occasione per ottenere questo c’è ed è a portata di mano, quando l’anno prossimo UK e Italia assumeranno rispettivamente la Presidenza del G7 e del G20. Si tratta forse dell’ultima chiamata per restituire un senso a questi formati multilaterali, nonché di un’occasione storica anche per il nostro paese. Se i nostri leader si dimostreranno in grado di coglierla, allora ci sarà forse una speranza per la sopravvivenza dell’ordine internazionale liberale.