La stagione dell'intolleranza e noi
Il paradosso di Seattle e il “liberalismo vitale” necessario ai progressisti
Milano. Dovete riprendere il controllo della città ORA, twitta il presidente; questa è casa mia e faccio come voglio io, risponde il sindaco. L’ultimo capitolo dell’America in ebollizione, passata dalla pandemia alle proteste senza mai fermarsi, si svolge a Seattle, nello stato di Washington: un gruppo di manifestanti ha occupato alcuni isolati della città dichiarando la “zona autonoma di Capitol Hill” (Chaz), cibo gratis e documentari serali, con un sito, una lista di priorità (istruzione gratis, abolire polizia e prigioni giovanili) e l’ambizione di diventare un esperimento di successo da replicare altrove. Per Donald Trump si tratta di un attacco di “terroristi interni guidati dai democratici radicali di sinistra”: il sindaco di Seattle (democratico) e il governatore di Washington (“di sinistra radicale”, dice il presidente) devono intervenire subito, “altrimenti lo farò io, questo non è un gioco: questi anarchici orrendi devono essere fermati immediatamente, muovetevi!”. Il sindaco, Jenny Durkan, ha risposto al presidente di non provare a minacciare l’utilizzo di militari, non può farlo e non deve creare ulteriori divisioni. Fino a qualche giorno fa la Durkan era sotto pressione da parte delle proteste perché la polizia di Seattle aveva usato i lacrimogeni: molti chiedevano le sue dimissioni. Oggi difende una zona autonoma – “questo territorio ora è di proprietà del popolo di Seattle” c’è scritto al confine – dalle accuse di Trump.
E’ difficile immaginare una posizione più difficile di quella del sindaco di Seattle, stretta tra le intolleranze di entrambe le parti – e l’estremismo, e la propaganda – mentre si interroga su come potrà riprendere il controllo della città. Il rischio è essere trascinati da questa intolleranza, e far finta di non accorgersene perché ogni azione è un test di fedeltà all’una o all’altra fazione, esattamente come pretende il copione del trumpismo: se sono di sinistra e denuncio l’abbattimento o la decapitazione delle statue, lo slogan “abolish police”, la rivolta interna del New York Times per un commento “disallineato” sono un traditore. E’ così che l’impulso illiberale della sinistra è dilagato.
Jonathan Chait del New York Magazine ha scritto un articolo dal titolo: “Difendere il liberalismo nell’epoca del radicalismo è ancora vitale”. Chait si occupa delle divisioni culturali a sinistra da anni, facendosi parecchi nemici. Racconta il caso di un ex data analyst della campagna della rielezione di Obama, David Shor, che è stato licenziato dall’azienda in cui lavorava fino a oggi, la Civis Analytics, perché ha tuittato lo studio di Omar Wasow, professore di Princeton che da quindici anni studia le proteste per i diritti civili degli anni Sessanta dal punto di vista dell’opinione pubblica, dei media e dell’impatto sul voto – erano gli anni di Nixon “law and order”, cioè il modello cui aspira Trump. Lo studio è stato pubblicato un paio di giorni dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis, quando stavano cominciando le proteste, e in sintesi sostiene: “La violenza da parte delle autorità o delle proteste è un’arma a doppio taglio. La repressione delle autorità sottomette gli attivisti ma porta l’attenzione dei media sulle questioni delle proteste non violente. Al contrario, la violenza da parte dei manifestanti può esprimere con forza lo scontento e offre un’autodifesa ma finisce per rafforzare la coalizione di chi vuole bloccare le richieste delle minoranze”. Cioè l’intolleranza da parte dei manifestanti finisce per essere controproducente: vincono gli altri, come dimostra proprio Nixon. David Shor ha rilanciato questo studio, ed è stato sommerso di tweet che gli dicevano che era contro i neri. Uno ha detto al presidente dell’azienda: tieni a bada il tuo ragazzo, e il presidente lo ha licenziato – così come al New York Times i giornalisti neri scrissero all’editore che l’editoriale del senatore Tom Cotton sull’intervento dei militari contro le proteste li metteva in pericolo, e hanno ottenuto la testa di chi aveva dato l’ok a quel commento.
Jonathan Chait dice che gli “impulsi illiberali della sinistra rimangono una forza oppressiva nella vita americana” e aggiunge una cosa che chi non vuole cadere nella trappola della polarizzazione tende a sottolineare: “Si possono combattere due mali, anche se questi mali sono uno contro l’altro, e senza dare loro lo stesso peso”. Una sfumatura di buon senso nella stagione dell’intolleranza.