Famoso economista di Chicago critica Black Lives Matter. E lo linciano
Harald Uhlig e il nuovo attacco alla libertà di espressione
Roma. Un coro di economisti e di ex capi della Fed e il solito branco digitale su Twitter stanno cercando di rovinare il direttore di una delle principali pubblicazioni accademiche americane, Harald Uhlig dell’Università di Chicago, il più noto economista tedesco negli Stati Uniti, dopo che ha criticato Black Lives Matter. Uhlig ha paragonato l’organizzazione ai terrapiattisti per via della loro campagna a favore dello scioglimento dei dipartimenti di polizia. “Capisco che alcuni là fuori vogliono andare a protestare e dire #defundpolice, mentre siete ancora giovani e la responsabilità non ha importanza”, aveva scritto Uhlig su Twitter. “Esprimetevi! Non rompete nulla, ok? E fate ritorno entro le 20”.
I post hanno suscitato un rapido contraccolpo, tra cui le critiche di diversi colleghi a Chicago e una petizione che lo invita a dimettersi da direttore del Journal of Political Economy, una delle cinque riviste del settore in America, che ora lo ha messo in congedo. Poi, come spesso capita in questi linciaggi, altri giornalisti, come becchini, si sono messi a fare dell’archeologia digitale nei vecchi post di Uhlig, compresa una lettera al direttore del New York Times, in cui si lamentava delle richieste di maggiore diversità agli Academy Awards, liquidandole come moralismo.
Anche Janet L. Yellen, ex presidente della Federal Reserve, ha dichiarato che “i tweet e i post di Harald Uhlig sono estremamente preoccupanti” e che “sarebbe appropriato per l’Università di Chicago, che è l’editore del Journal of Political Economy, rivedere le prestazioni e l’idoneità di Uhlig a continuare”. E’ dura sopportare un simile fuoco, così Uhlig si è scusato per i suoi post. Poi però ieri, parlando alla Welt, ha rincarato: “I professori di Economia dovrebbero prendere posizione dalla loro torre d’avorio su argomenti specifici. Chiunque abbia una cattedra a vita dovrebbe osare farlo. La libertà di espressione è un grande vantaggio che dobbiamo difendere ancora e ancora”. Uhlig racconta di ricevere molte email da colleghi che gli esprimono solidarietà, ma che non osano farlo pubblicamente. Alcuni gli scrivono persino sotto pseudonimo. E’ facile capire perché.
La Federal Reserve Bank di Chicago ha dichiarato di avere interrotto i rapporti con Uhlig: “Le sue opinioni non sono compatibili con i valori della Fed di Chicago e il nostro impegno per la diversità, l’equità e l’inclusione”. Contro Uhlig anche Paul Krugman del New York Times: “Un altro uomo bianco privilegiato che evidentemente non riesce a controllare il suo bisogno di sminuire le preoccupazioni di coloro che sono meno fortunati”.
Il giornalista Andrew Sullivan, che si è appena visto censurare una column dal New York Magazine sul vandalismo seguito all’uccisione di George Floyd, ha tuittato a difesa di Uhlig: “E’ rivelatore che con entusiasmo questi fanatici sostengano l’eliminazione e il licenziamento di pensatori sbagliati. E’ il loro primo istinto: quello di punire. Mi fanno schifo”.
Al fianco di Uhlig si è schierato anche un altro economista, John Cochrane, già suo collega a Chicago e oggi a Stanford: “Perché scrivo? Ho paura delle Guardie Rosse di Twitter. I Krugman e altri giacobini assortiti mi stanno aspettando per una frase che può essere tolta dal contesto ed esigono la mia testa. Dubito che l’amministrazione di Stanford abbia più colonna vertebrale in difesa del discorso conservatore e libertario rispetto a quella di Chicago. Ma dobbiamo parlare per la libertà di parola prima che sia troppo tardi”. A giudicare dalla quantità di teste che stanno rotolando nel cesto della ghigliottina della diversity, forse lo è già.