Occupy il monastero
La storia di padre Sergij, il ribelle degli Urali con i cosacchi al seguito. Contro Putin, la chiesa e il Covid
Prima che la chiesa ortodossa in Russia accettasse le disposizioni del Cremlino sulla pandemia, ammettesse che la quarantena e quindi anche il blocco delle funzioni religiose fosse necessario, è passato molto tempo. Le chiese sono rimaste aperte e i fedeli hanno assistito alle messe fino a metà aprile, pure se il presidente russo aveva ordinato l’inizio dell’isolamento a fine marzo. Ma Putin, si sa, è molto indulgente nei confronti del patriarcato di Mosca, ha lasciato correre, fino a quando non è stato lo stesso patriarcato a capire che bisognava seguire le direttive del capo del Cremlino. Tuttavia non tutti erano d’accordo e dentro alla chiesa russa, già tormentata da correnti ondivaghe e minacce di scismi, la pandemia è diventata un nuovo elemento di scontro, di ripicche e di controversie che hanno portato fino all’occupazione di un monastero negli Urali.
Padre Sergij Romanov si è sempre rifiutato di sottostare alle regole del patriarcato. E’ considerato un leader spirituale della setta degli Tsarebozhniki, una corrente della chiesa ortodossa russa i cui membri adorano lo zar Nicola II – con cui Sergij condivide anche il cognome – e lo venerano come un martire, oltre ad auspicare un ritorno alla monarchia. Sergij è un personaggio molto noto a Ekaterinburg, la quarta città più grande della Russia: ai tempi dell’Unione sovietica è stato un ufficiale di polizia e anche sergente dell’esercito e, prima di diventare membro della chiesa ortodossa, ha passato tredici anni in carcere per omicidio. Il suo rapporto con il patriarcato di Mosca si è guastato in fretta, non ha mai amato il suo rapporto intimo con il Cremlino, né Vladimir Putin – quello che dice che “il liberalismo è obsoleto”– considerato troppo liberale e vittima di pressioni esterne che cercano di rendere la Russia debole e spiritualmente povera. Anche il coronavirus fa parte di queste pressioni e sin dall’inizio padre Sergij ha detto ai suoi fedeli di lasciar perdere ogni precauzione, di continuare ad andare in chiesa e di rifiutare ogni medicina o vaccino. La ribellione di padre Sergij è andata avanti anche durante la quarantena, quando ormai la chiesa si era resa conto che continuare le funzioni religiose fosse pericoloso. E proprio a causa di questa ribellione, il patriarcato ha aperto un’in - chiesta contro lo tsarebozhnik e vorrebbe processarlo. Un’aggravante: durante i suoi sermoni padre Sergij lanciava anatemi contro la leadership della chiesa e contro le istituzioni dello stato perché volevano impedire i raduni dei fedeli.
A fine maggio la diocesi di Ekaterinburg ha vietato al prete di predicare e lo ha denunciato per negazionismo. Romanov, per tutta risposta, ha definito il coronavirus un complotto occidentale e il Cremlino e le alte sfere della chiesa agenti di questo complotto contro la Russia. Per non sottoporsi al processo, con le guardie cosacche al seguito, se ne è andato nel monastero di Sredneuralsk, negli Urali, e lo ha occupato. Le suore che tradizionalmente occupano la struttura, vedendo arrivare il prete, alcuni suoi seguaci e i cosacchi, sono scappate. Nonostante la sospensione ufficiale dai servizi ecclesiastici, padre Sergij continua a svolgere le funzioni religiosi e ha pubblicato un video messaggio in cui avverte le autorità che, per cacciarlo, dovranno prendere d’assalto il monastero che però è costantemente sorvegliato da guardie cosacche che hanno combattuto a Mosca, in Cecenia e in Afghanistan. Gente sanguigna. Nella cultura russa c’è un padre Sergij illustre, letterario, a cui Lev Tolstoj ha dedicato un racconto e per scriverlo andò a vivere per un po’ nel monastero di Optina. Il padre Sergij di Tolstoj era un aristocratico che decide di diventare monaco per allontanarsi dalla vita mondana moscovita: tutto parte da una delusione d’amore. Sergij si dedica alla preghiera e alla reclusione, presto si sparge la voce che abbia poteri taumaturgici e le persone iniziano a chiamarlo santo. Il padre Sergij che ha occupato il monastero e che è sorvegliato dai cosacchi è un’altra storia, ma dicono i media locali che c’è già chi lo chiama santo ed è pronto a seguirlo negli Urali.