(LaPresse)

La "dottrina Sinatra" con la Cina

David Carretta

L’Unione europea è più assertiva che dialogante con Pechino. Il Libro bianco con le regole

Bruxelles. L'Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, ha fatto ricorso alla “dottrina Sinatra” per delineare la politica dell'Unione europea nei confronti della Cina. “Dobbiamo essere come Frank Sinatra, no? My way”, ha detto Borrell all'inizio del mese di giugno per spiegare che l'Ue non intende “imbarcarsi dalla parte americana contro la Cina perché non abbiamo gli stessi interessi nella nostra relazione con la Cina”. Borrell vuole fare “a modo mio”: un rapporto che non sia naif, ma nemmeno conflittuale, incentrato sul dialogo e la partnership internazionale perché senza la Cina non si possono risolvere le grandi sfide del mondo (l'unilateralismo di Trump, le istituzioni multilaterali, il cambiamento climatico, l'accordo con l'Iran). Ma in un vertice ieri con il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e quella della Commissione, Ursula von der Leyen, hanno adottato una “dottrina Sinatra” molto più assertiva. "Dialogare e cooperare con la Cina è un'opportunità e una  necessità. Ma allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che non condividiamo gli stessi valori, i sistemi politici o l'approccio al multilateralismo", ha detto Michel, facendo un lungo elenco di rimostranza. "Affinché le nostre relazioni si sviluppino ulteriormente, devono basarsi di più sulle regole reciproche per arrivare a una vera parità di condizioni", ha spiegato von der Leyen. Fare “progressi implica cooperazione da entrambe le parti, reciprocità e fiducia”, ha detto la presidente della Commissione, lasciando intendere che non ci sono progressi, cooperazione, reciprocità e fiducia.

   
Dopo aver flirtato con l'idea di un'alleanza con Pechino in chiave anti-Trump, l'Ue ha scoperto che avere una relazione costruttiva e reciprocamente benefica con una potenza emergente predatoria e espansionista, governata da un regime comunista nazionalista e liberticida, con un'idea di capitalismo fondata sullo stato, semplicemente non è possibile. La crisi del Covid-19, l'aggressività della diplomazia cinese e l'imposizione della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong hanno costretto l'Ue a aprire gli occhi. Ma i segnali erano già arrivati con i negoziati sull'accordo Ue-Cina sugli investimenti. Il 9 aprile del 2019, nel precedente vertice Ue-Cina, l'allora presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e Li Keqiang avevano annunciato l'intenzione di chiudere l'accordo entro il 2020. La Cina si era impegnata a fare veri progressi in termini di accesso al suo mercato per le imprese europee e trattamento non discriminatorio. Poco più di un anno dopo “l'implementazione è rimasta indietro”, spiega una fonte Ue: la Cina non ha rispettato “un certo numero di impegni sulle barriere all'accesso al mercato” in particolare nei mercati dell'auto, del biotech, delle telecomunicazioni e dei computer. Peggio: in alcuni settori (come agricoltura e servizi finanziari) Pechino sta avvantaggiando le imprese americane a discapito di quelle europee per dar seguito al “deal” anti-dazi con Donald Trump. Inoltre si sono moltiplicati i contenziosi su imprese pubbliche cinesi, accesso agli appalti, trasferimento forzato di tecnologia. Sull'acciaio la Cina ha aumentato di dieci volte la sua capacità, malgrado un calo della domanda, ed è uscita dal forum globale che dovrebbe trovare una soluzione alla sovra-capacità. Sulla riforma del WTO, Pechino frena in termini di condizioni più eque su concorrenza e sussidi industriali. La crisi del Covid-19 non ha fatto altro che aggravare le cose, rivelando ai paesi Ue tutta la loro fragilità nel momento in cui dipendono dalla Cina per materiali protettivi e produzione di medicinali. Risultato: nessuno si aspetta di firmare l'accordo sugli investimenti entro la fine dell'anno.

  

La Cina si sta dimostrando più un rivale sistemico che un partner affidabile anche in altri campi. Sul digitale, l'Ue ha presentato le sue doglianze sulla disinformazione, i cyberattacchi, la sicurezza delle reti 5G, la micro-elettronica e l'intelligenza artificiale. Sul clima “il presidente Xi Jinipng si vanta giustamente di essere uno dei padri dell'accordo di Parigi. Ma la leadership sul clima significa fare le cose. I bei discorsi non bastano”, spiega un altro funzionario Ue. Oggi la Cina produce un quarto delle emissioni al mondo e continua a crescere. Se Pechino ha firmato l'accordo di Parigi e è il più grande investitore al mondo in rinnovabili. Tuttavia “gli impegni interni non sono stati adattati a quello che un paese industriale di queste dimensioni dovrebbe fare” per ridurre le emissioni globali, dice il funzionario Ue. Non solo la sua industria è “terribilmente inefficiente” dal punto di vista energetico. Ma la Cina ha anche “iniziato nuovamente a costruire centrali a carbone”.

  

In un clima sempre più conflittuale, il “my way” dell'Ue sulla Cina è sempre meno dialogante e sempre più assertivo. Angela Merkel ha cancellato il summit con Xi Jinping previsto a Lipsia a settembre, che doveva essere il momento più importante della sua presidenza dell'Ue. I suoi uomini a Berlino hanno citato la gestione opaca del Covid, l'aggressività internazionale, la disinformazione e Hong Kong. Sul fronte economico “siamo il più importante partner commerciale della Cina. I cinesi apprezzano l'apertura del mercato Ue. Abbiamo detto chiaramente che non possono darlo per scontato”, spiega la prima fonte Ue. Gli strumenti messi in campo sono diversi, come i dazi anti-dumping e anti-sussidi e il monitoraggio degli investimenti stranieri per sicurezza e ordine pubblico. La scorsa settimana la Commissione ha pubblicato un Libro bianco per limitare l'accesso delle imprese straniere che beneficiano di aiuti pubblici al mercato interno in termini di acquisizioni, concorrenza e appalti pubblici. Nel mirino ancora una volta c'è la Cina, che oggi è libera di scorrazzare nel mercato Ue senza dover rispettare le stesse norme delle imprese europee su acquisizioni, concorrenza e appalti pubblici. “Se non troviamo regole comuni, dobbiamo assicurarci che siamo in grado di proteggerci autonomamente. E' quello che sta accadendo”, dice la fonte Ue. Sul piano industriale la crisi del Covid-19 ha “rivelato alcune vulnerabilità” dell'Ue: di fronte alla “dipendenza unilaterale” dalla Cina “la risposta è diversificazione e produrre di più in Europa e nel nostro vicinato”. Sul clima – dice il secondo funzionario Ue - “vogliamo che la Cina prenda l'impegno di diventare neutrale sul clima attorno nel 2060”. Altrimenti ci saranno “conseguenze”: l'Ue sta preparando la proposta di carbon tax alle frontiere per i prodotti importati dai paesi che non rispettano l'accordo di Parigi.