Roma. “Che cosa stavano pensando le autorità italiane quando hanno detto che il Captagon è stato prodotto dallo Stato islamico? E’ perché non sono a conoscenza dei fatti oppure è una scelta deliberata per non dire nulla di male a proposito di Assad e Hezbollah?”, chiede Sam Dagher al Foglio. Dagher è corrispondente in medio oriente da più di quindici anni, l’anno scorso ha scritto un saggio di cinquecento pagine sulla famiglia Assad e la guerra civile in Siria e come molti è stato colpito in modo negativo dalla notizia arrivata mercoledì dall’Italia: un sequestro di 84 milioni di pasticche di Captagon “prodotte dall’Isis” nel porto di Salerno, per un valore di mercato di un miliardo di euro sul mercato illegale (qui scriviamo Captagon per comodità come se fosse il medicinale bandito dal commercio, ma si tratta di solito di una contraffazione). La Guardia di Finanza ha dichiarato come un fatto certo che quella quantità enorme di Captagon è stata prodotta in Siria dallo Stato islamico per finanziare il terrorismo internazionale. L’informazione è poi girata molto e anche il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’ha rilanciata. Ma non è convincente. Il sequestro è un’ottima cosa e un colpo durissimo contro il narcotraffico, ma l’associazione con lo Stato islamico è dubbia. Come tanti altri, anche Dagher nota che il traffico di Captagon e di altro è in mano da molti anni a una filiera che fa capo al gruppo libanese Hezbollah e al regime siriano.
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