Arriva una sentenza notevole sulla Bana, la nave che trasportava armi a Tripoli per conto della Turchia. E l'ambasciata libanese decide di proteggere Ali Abou Merhi, l'uomo vicino a Hezbollah coinvolto nella violazione dell'embargo
Roma. Per la prima volta un tribunale italiano è stato chiamato a decidere sulle interferenze dei paesi stranieri nella guerra in Libia. Con una sentenza della Cassazione dello scorso 30 giugno, i giudici hanno stabilito che la violazione dell’embargo delle armi nel paese a opera di una nave libanese di nome Bana, messa al servizio della Turchia, non può connotarsi come un delitto politico. La sentenza ha un significato notevole, che si intreccia con uno scenario politico e militare già intricato per il coinvolgimento nella guerra libica di tanti paesi terzi: Italia, Russia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Francia, solo per citarne alcuni. Ognuno di questi si è schierato con una delle fazioni in conflitto: da un lato c’è il governo di unità nazionale (Gna) di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj e riconosciuto dalla comunità internazionale; dall’altro c’è il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, che da poco ha incassato diverse sconfitte che lo hanno ricacciato verso est, facendo fallire la sua offensiva su Tripoli.
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