Chi è il centrista Paschal Donohoe, che sul Recovery fund vuole pensarci bene
Ministro delle Finanze irlandese, eletto capo dell'Eurogruppo a spregio di Italia, Spagna, Germania e Francia, Donohoe è un mediatore nato che non ama l'ideologia
“Chiamatemi contraltare”, perché questo è quello dovrà fare per i prossimi due anni e mezzo di incarico da capo dell’Eurogruppo Paschal Donohoe, ministro delle Finanze irlandese, centrista per convinzione e mediatore per mestiere, eletto a sorpresa dai 19 ministri delle Finanze dell’area euro. Toccherà a lui, irlandese gentile, ben educato e un po’ vanitoso, portare avanti una delicata e complicata opera di politica, un po’ raffinata un po’ cerchiobottista (ma cos’altro è la politica se non l’arte del cerchio e della botte?) di mediare tra chi vuole spesa e chi vuole rigore, tra chi pensa che il Covid sia sì una tragedia, ma anche la grande occasione dell’Ue per diventare grande e fiscalmente unita, e chi pensa, in fondo, Unione sì, ma con juicio.
A Donohoe toccherà il compito di tenere saldi i conti dell'area euro senza far passare l’Europa per una matrigna cattiva e avida, di coniugare solidarietà e rigore, centralizzazione e individualismo (hai detto poco). La sua nomina non è casuale, anzi.
Già il fatto che chi lo sfotte lo chiami Paschal “fair play” Donahue dovrebbe dirla lunga. Poi occorre aggiungere che Donahue ha un solido e bifronte curriculum da centrista e da europeista (è stato ministro per gli Affari europei e ha sempre militato nel Fine Gael, declinazione irlandese del Ppe e sua moglie, l’inglese Justine Davey, dopo Brexit ha precipitosamente provveduto a cambiare cittadinanza) ma ha anche gestito (e sta gestendo) le finanze di un paese, l’Irlanda, che ha vissuto sulla sua pelle lo sconquasso della crisi e la severità senza se e senza ma dell’intervento della Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) e dunque sa di cosa si parla, sia quando si parla di crisi sia quando si parla di rigore.
Lo ha detto lui stesso, quando ha dichiarato di voler "mettere sul tavolo l'esperienza dell'Irlanda, un piccolo stato membro che è stato un paese del programma di risanamento ma che ha anche visto la sua economia e la società trasformate attraverso l'adesione all'Ue". Irish Times, il più importante giornale della Repubblica d'Irlanda, scrive sul suo conto che “Donohoe ha costantemente predicato la necessità di una disciplina fiscale, sostenendo però anche la spinta dell'Europa meridionale per la mutualizzazione del debito durante la crisi del coronavirus. Ha seguito gli sforzi internazionali per la revisione del sistema fiscale globale delle società, pur rimanendo fermamente convinto che i paesi più piccoli del blocco necessitino del diritto di stabilire le proprie aliquote fiscali”.
Ci racconta Colm Keena, giornalista dell'Irish Times che da anni segue da cronista parlamentare per Irish Times le vicende di Donohoe "Non so come si comporterà Donohoe da capo dell'Eurogruppo. Però posso dire come si è comportato qui: lo ha fatto incarnado profondamente l'indole centrista del suo partito, la vocazione alla mediazione. Donohoe ha un modo tutto suo, snervante persino, di smussare i problemi e i conflitti, di spegnere gli incendi. In questo riesce a essere, allo stesso tempo, sia molto astratto, perché si tiene sempre al di sopra delle liti, sia molto concreto, perché di fatto, le rende inutili e dunque punta dritto alla soluzione. Difficile dire cosa succederà nei prossimi anni, ma se Donohoe si comporterà in Europa come si è comportato da noi in Irlanda, posso fare una previsione: chi spera in un suo approccio ideologico alle cose rimarrà deluso".
Che Donohoe sia stato messo lì per fare contenti-ma-non-troppo tutti lo scrive anche Financial Times: “Uno dei primi compiti dell'onorevole Donohoe sarà quello di provare a esercitare un'influenza sul previsto piano di recupero di coronavirus da 560 miliardi di euro dell'Ue mentre gli stati membri fanno pressione su come sorvegliare l'erogazione degli aiuti alle economie colpite dalla crisi”. Lo scorso 22 maggio, forse per caso, forse no, Donohoe aveva rilasciato un'intervista di un’ora nella quale disegnava i tratti di come secondo lui l’Europa avrebbe dovuto affrontare la crisi, tenendo insieme l’imperativo dell’ordine nei conti, rispetto ai quali al suo paese è stato chiesto di non sbracare e lo stesso dovrà essere agli altri, Covid o non Covid, e la consapevolezza che l’Europa, questa volta, non può badare solo all’aritmetica dei bilanci.
La genesi stessa della sua elezione dà una misura di come Donohoe dovrà fare da ammortizzatore tra l’incudine di chi vuole spesa e il martello di chi vuole rigore. Non a caso, arriva come una vittoria di rappresentanza dei paesi frugali e della riluttante lega anseatica contro l’inedito asse pro-spesa di Germania, Francia, Italia e Spagna, che invece avevano puntato tutto sulla ministra spagnola Nadia Calviño. Erano convinti, italiani, francesi, tedeschi e spagnoli di vincere facile, ora che il vento della politica economica europea pende dalla loro e, invece, a sorpresa, hanno perso, grazie al voto (a scrutinio segreto ma ben organizzato) di chi propende per una maggiore misura negli interventi di aiuto. Un voto, il loro, che ha tutto l’aspetto di una risposta al discorso-agenda di Angela Merkel di pochi giorni fa, quello nel quale la cancelliera tedesca ha detto che “l’Europa è capace di grandi cose se siamo in grado di sostenerci l’un l’altro”.
Una frase che si scrive così, ma che in realtà si legge, “cari paesi frugali, mettetevi l’anima in pace, il Recovery Fund si fa e si fa come serve, non come lo vorreste”. Allo stesso modo, l’elezione all’Eurogruppo di Donohoe si scrive così, ma si legge “ehi, non così in fretta”.