Roma. La reazione di Ankara alle otto parole pronunciate a braccio domenica all’Angelus dal Papa è stata repentina, quasi che fossero attese. Francesco si è limitato a esprimere il proprio dolore per Santa Sofia, che da fine luglio tornerà a essere moschea aperta al culto. Per ora, il governo turco preferisce usare i toni bassi, confermando che poco o nulla cambierà e che il complesso voluto dall’imperatore Giustiniano resterà aperto a tutti, con i mosaici oscurati da speciali tendaggi solo durante la preghiera islamica. Pochi ci credono, a partire dai leader delle comunità ortodosse locali, che da mesi avevano lanciato l’allarme invocando una presa di posizione politica dell’occidente che è giunta, come spesso accade, tardi. Le promesse del governo turco sono accolte con scetticismo anche perché le scene trasmesse dai media statali venerdì poco dopo l’ufficializzazione della decisione unanime del Consiglio di stato non inducono a immaginare per Ayasofia un futuro quale centro pulsante del dialogo interreligioso. “Allahu akbar” era lo slogan scandito da una folla esultante ben felice di comparire sugli schermi delle televisioni nazionali.
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