Bruxelles. Il negoziato sul Recovery fund, oltre a mostrare le divisioni tra i 27 stati membri dell’Ue, ha messo nuovamente in luce la frattura interna alla famiglia del socialismo europeo, con due anime che vanno in direzioni opposte su solidarietà finanziaria, politiche redistributive e riforme macroeconomiche. Sui quattro paesi “frugali” che hanno frenato il negoziato sul Recovery fund, due sono guidati da primi ministri socialisti (Danimarca e Svezia), mentre gli altri due hanno nella maggioranza di governo componenti che appartengono al campo progressista (i Verdi in Austria e i liberali di sinistra D66 nei Paesi Bassi). Anche la Finlandia, che si è aggregata ai “Frugal four” durante i quattro giorni di Consiglio europeo, ha una premier socialista. Tre capi di governo del Pse del nord scandinavo – la danese Mette Frederiksen, lo svedese Stefan Löfven e la finlandese Sanna Marin – si sono scontrati con virulenza contro altri due capi di governo del Pse del sud – lo spagnolo Pedro Sánchez e il portoghese António Costa – oltre che con Giuseppe Conte, che è espressione della strana maggioranza tra i populisti del M5s e il Pd. Fino al risultato paradossale che è toccato a una cancelliera cristianodemocratica, Angela Merkel, e a un presidente liberale, Emmanuel Macron, fare da pacieri tra le due anime molto diverse del Partito del socialismo europeo.
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