Roma. “Google è il demonio”, ripeteva Alex Jones due giorni fa dentro il Congresso americano inseguendo Sundar Pichai, ceo di Google, che stava andando a testimoniare davanti alla commissione Antitrust della Camera. Google è alleato del Partito comunista cinese, gridava Jones, uno dei più grandi propalatori di teorie del complotto pro trumpiane d’America, sospeso da iTunes e da Twitter – famoso come lui c’è forse solo Roger Stone, appena graziato da Donald Trump, che infatti era accanto a Jones nell’inseguimento. Dentro l’aula della commissione, molti deputati conservatori hanno attaccato Pichai e gli altri manager del Big Tech in audizione perché queste aziende – Facebook, Google, Amazon e Apple – sono viziate da un pregiudizio anti conservatore, e quindi colpevoli. Greg Steube della Florida si è lamentato con Pichai perché le email della sua campagna elettorale finiscono nello spam, e questo succede solo ai candidati del Partito repubblicano. Come già si era visto in passato, al vittimismo si unisce l’ignoranza. Jim Sensenbrenner del Wisconsin ha chiesto al ceo di Facebook perché aveva imposto limitazioni all’account di Donald Trump Jr. “Credo che lei si riferisca a Twitter, per me è complicato esprimermi su questo”, ha risposto Mark Zuckerberg.
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